Luciana Littizzetto e il falso mito dell’inefficienza militare italiana

Con questo articolo, intendiamo aiutare Luciana Littizzetto a comprendere meglio la realtà e sfatare il falso mito dell’inefficienza militare italiana, facendo chiarezza su un tema spesso trattato con superficialità. Proseguiamo così il discorso avviato nel nostro precedente approfondimento sulla risposta del Generale Bertolini e del Tenente Colonnello Paglia alle poco onorabili dichiarazioni della comica.
L’Italia ha partecipato attivamente a tutte le principali operazioni militari internazionali, condotte dalla NATO, dall’ONU e da coalizioni internazionali in teatri operativi estremamente complessi. Dal Libano all’Afghanistan, dalla Somalia all’Iraq, i militari italiani hanno operato con professionalità, dedizione e capacità di adattamento in contesti ad alta intensità, spesso a rischio della propria vita.
Opinioni? No, fatti
Non si tratta di opinioni, ma di fatti: un impegno continuo che ha garantito e continua garantire sicurezza e stabilità in numerose aree di crisi nel mondo.
Tralasciando il passato bellico, con la vittoria nella Prima Guerra Mondiale, le gesta di Alessandro Tandura, primo paracadutista militare della storia, le formidabili innovazioni degli Arditi e delle flottiglie MAS – che hanno gettato le basi per le moderne forze speciali militari a livello globale – e l’eroico comportamento degli italiani a El Alamein e Takrouna, così come il coraggio dimostrato durante la battaglia di Culqualber, episodi che valsero agli italiani l’onore delle armi da parte del nemico, la storia contemporanea è altrettanto ricca di eventi che attestano l’alta professionalità, capacità e coraggio dei militari italiani.
Soldati italiani al servizio del prossimo, impegnati a proteggere e supportare le persone più sfortunate, spesso vittime di conflitti e crisi umanitarie, la cui unica “colpa” è essere nate nel posto sbagliato.

Gli anni ’80: si comincia con il Libano
La prima missione italiana in un’operazione internazionale di peacekeeping fu in Libano, nel 1982, con l’operazione Italcon, durante la quale un battaglione organico rimase schierato per diciotto mesi. A seguito dei tragici eventi nei campi palestinesi di Sabra e Chatila, situati alla periferia ovest di Beirut, e delle consultazioni tra il Governo libanese e il Segretario Generale delle Nazioni Unite, fu adottata la Risoluzione 521 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che portò il Libano a richiedere l’intervento di una Forza Multinazionale, coinvolgendo anche l’Italia. L’obiettivo era ristabilire la sovranità e l’autorità del governo libanese su Beirut e garantire la sicurezza della popolazione. Il 15 marzo 1983, il Marò Filippo Montesi perse la vita in un’imboscata mentre era impegnato in un pattugliamento a Beirut.
La missione ITALCON si svolse dal 24 settembre 1982 al 6 marzo 1984, coinvolgendo un totale di 8.345 militari italiani. Al termine della missione, il loro impegno e le loro straordinarie capacità operative furono ampiamente riconosciuti a livello internazionale, attestandone la professionalità.

Operazione Airone – Kurdistan Iracheno
Nel 1991, durante la Guerra del Golfo, l’Italia prese parte alla missione Airone, un’operazione umanitaria volta a fornire soccorso ai profughi curdi. La Brigata Paracadutisti Folgore schierò quasi 1.000 uomini, allestì oltre 600 tende per l’accoglienza dei rifugiati e garantì la sicurezza in un’area di 1.400 km, ottenendo riconoscimenti ufficiali dalle Nazioni Unite.
I militari italiani operarono in condizioni ambientali estremamente difficili, a migliaia di chilometri dalla madrepatria. In una prima fase si dedicarono alla creazione di campi di accoglienza e alla fornitura di assistenza e sicurezza alle popolazioni in fuga. Successivamente, furono schierati di fronte alle forze irachene in ritirata verso Nord sotto la pressione degli alleati, contribuendo in modo decisivo alla stabilizzazione dell’area.
Per il valore dimostrato, tutti i militari italiani partecipanti alla missione Airone ricevettero la Croce Commemorativa del Ministero della Difesa, l’Attestato di Benemerenza dello Stato Maggiore dell’Esercito, firmato dal Generale Goffredo Canino, e il Certificate of Appreciation, conferito dal Generale statutitense John Shalikashvili e dal Generale Mario Buscemi. L’intervento italiano permise di garantire una cintura di sicurezza, determinante per il rientro dei profughi nelle loro terre.

Vespri Siciliani, al servizio dell’Italia
Il 25 luglio 1992, a seguito degli attentati mafiosi che uccisero i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il governo italiano dispose l’invio dell’Esercito Italiano in Sicilia per supportare le forze dell’ordine nel contrasto alla criminalità organizzata. L’operazione iniziò con l’arrivo a Palermo di oltre 1.000 paracadutisti della Folgore nella giornata del 26 luglio, trasportati dalla 46ª Brigata Aerea con C-130 e G-222. Il contingente fu schierato per presidiare obiettivi sensibili, rafforzare i controlli e garantire la sicurezza pubblica.
L’Operazione Vespri Siciliani rappresentò uno dei più importanti impieghi delle Forze Armate sul territorio nazionale, segnando un’azione senza precedenti nel contrasto alla mafia.

Operazione IBIS – Somalia
Dal 1992 al 1994, l’Italia partecipò alla missione IBIS in Somalia, schierando il secondo contingente più numeroso dopo quello statunitense. L’operazione rientrava in un intervento internazionale volto a stabilizzare il Paese e garantire la sicurezza degli aiuti umanitari.
La situazione in Somalia era drammatica: la guerra civile, l’emergenza umanitaria senza precedenti e la presenza di gruppi armati rendevano difficoltoso qualsiasi intervento internazionale.
Il 3 dicembre 1992, con la Risoluzione 794, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU autorizzò un’azione militare su tutto il territorio somalo, affidandone la conduzione a un gruppo di Stati membri.
L’Italia, con la missione IBIS, fornì supporto militare e logistico per la stabilizzazione del Paese e la protezione delle operazioni umanitarie, oltre a promuovere una serie di iniziative emblematiche per la ricostruzione del tessuto sociale di una nazione martoriata da anni di guerra, come la riapertura di scuole, ospedali e fabbriche.
Il 2 luglio 1993, durante uno degli scontri più violenti della missione, i soldati italiani affrontarono un’intensa battaglia contro le milizie somale a Mogadiscio. In quell’episodio persero la vita il Paracadutista Pasquale Baccaro, il Sergente Maggiore Incursore Stefano Paolicchi e il Sottotenente Andrea Millevoi, mentre l’allora Tenente Gianfranco Paglia rimase gravemente ferito.
Nel corso dell’intera missione, l’Italia subì la perdita di 14 connazionali, tra cui 11 militari, un’infermiera volontaria e due civili.

Operazione Albatros: l’Italia in prima linea per la Pace in Mozambico
Parallelamente all’impegno in Somalia, si apriva un altrettanto cruciale scenario operativo in Mozambico.
Gli Accordi di Pace di Roma, siglati il 4 ottobre 1992 tra il Governo del Mozambico e la RENAMO (Resistenza Nazionale Mozambicana), affidarono alle Nazioni Unite la supervisione e il controllo della loro attuazione. Il 16 dicembre 1992, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU autorizzò l’Operazione ONUMOZ (United Nations Operations in Mozambique), con l’obiettivo di garantire la pacificazione del Mozambico, e nel dettaglio:
- Monitoraggio del cessate il fuoco tra il governo locale e i guerriglieri della RENAMO, con lo smobilitamento di 67.042 militari governativi e 24.648 combattenti RENAMO.
- Raccolta e distruzione degli armamenti di tutte le parti coinvolte.
- Sicurezza per operatori umanitari e personale ONU.
- Supporto alle elezioni del 1994, fornendo assistenza tecnica e monitorando il processo per prevenire brogli.
L’Italia partecipò alla missione con il contingente ITALFOR, inviato nel marzo 1993 per l’Operazione Albatros. L’unità, di livello reggimentale, comprendeva:
- 1.030 militari italiani, inizialmente provenienti dalla Brigata Alpina “Taurinense”, poi dalla Brigata Alpina “Julia”, con la Compagnia Alpini Paracadutisti “Monte Cervino” sempre presente in entrambi i contingenti.
- Battaglione logistico, incaricato del supporto logistico.
- Gruppo squadroni dell’Aviazione dell’Esercito, per il trasporto e il pattugliamento aereo.
- Reparto di Sanità, responsabile dell’assistenza medica per il personale ONU e la popolazione locale.
- Nucleo di 5 Carabinieri, impiegati nelle funzioni di polizia militare.
Il contingente italiano aveva il compito di controllare il Corridoio Machipanda – Beira, un’arteria strategica che collegava lo Zimbabwe al porto di Beira, garantendo sicurezza e supporto logistico nella regione.
L’Italia mantenne il contingente fino all’aprile 1994. Dopo il ritiro della maggior parte delle forze, 230 militari italiani del Reparto di Sanità e di un’unità di sostegno rimasero a Beira sotto la denominazione “Albatros 2”, per continuare a garantire il supporto sanitario al personale ONU e alla popolazione locale fino al dicembre 1994.
Grazie all’efficienza logistica e operativa, il Contingente Italiano fu considerato una forza di riferimento, fornendo supporto sanitario e logistico a tutte le forze ONU presenti nella regione.

Operazione Ippocampo – Ruanda
Nell’Operazione Ippocampo, in Ruanda, gli incursori del 9° Reggimento Col Moschin furono impegnati in una delle missioni più rischiose e complesse della loro storia.
Il 10 maggio, dopo un primo atterraggio a Nairobi, le forze italiane giunsero all’aeroporto di Kigali, dove furono immediatamente bersagliate da colpi di mortaio. Il C-130 che li aveva trasportati fu costretto a ripartire rapidamente, lasciando il distaccamento sul territorio ruandese senza mezzi di trasporto militari disponibili.
Trovandosi isolati, gli incursori requisirono veicoli civili, modificandoli per adattarli alle esigenze operative. Si mossero tra sparatorie e bombardamenti, raggiungendo i civili italiani ancora presenti nella capitale. Nel giro di una settimana, portarono a termine l’evacuazione completa, operando in un contesto estremamente instabile e pericoloso.
Durante il decollo dell’ultimo C-130, sovraccarico di persone evacuate, l’aereo fu bersagliato da mitragliatrici antiaeree sovietiche ZU-23, ma riuscì a lasciare il paese. Secondo il Gen. Roberto Vannacci, allora comandante sul terreno dell’operazione, si trattò di una delle missioni più difficili mai affrontate dal 9° Reggimento Col Moschin.
L’operazione ebbe un costo alto: il Sergente Maggiore Marco Di Sarra, ammalatosi di malaria, perse la vita poco dopo il rientro in Italia.

Missioni nei Balcani
La crisi nei Balcani vide il coinvolgimento dei militari italiani in diverse operazioni internazionali.
Dal 1995, i militari italiani furono schierati in Bosnia nell’ambito dell’operazione SFOR. Nel marzo 1997, parteciparono alla missione Alba, operazione multinazionale guidata dall’Italia. Sebbene ufficialmente finalizzata alla distribuzione di aiuti umanitari, la missione aveva l’obiettivo di stabilizzare la crisi politica in Albania e prevenire lo scoppio di una guerra civile.
Dal aprile all’ottobre 1999, il Generale Pierluigi Torelli comandò la Brigata Multinazionale Nord in Bosnia.
Le missioni nell’area balcanica proseguirono per tutto il decennio successivo, fino a tutto il 2004. Da dicembre 2004, la gestione della stabilizzazione passò all’Unione Europea, che subentrò con una nuova missione a componente militare.

Dall’altra parte del mondo – Timor Est
Da settembre 1999 a gennaio 2000, i Paracadutisti del 187° Reggimento, insieme ai Carabinieri Paracadutisti del Tuscania e agli Incursori del Col Moschin, furono schierati a Timor Est nell’ambito dell’Operazione Interfet.
Situata nell’estremo sud-est asiatico, Timor Est fu teatro di gravi violenze da parte di gruppi contrari alla sua indipendenza dall’Indonesia. In risposta, l’ONU, con la Risoluzione 1264 del 15 settembre 1999, autorizzò l’invio di una forza multinazionale sotto il comando dell’Australia.
Al gruppo tattico della Folgore fu assegnato il compito di pattugliare e garantire la sicurezza della popolazione nelle aree più difficili da raggiungere a causa della densa vegetazione.
L’Operazione Interfet è ricordata come la missione più lontana mai affrontata da un reparto italiano.

G8 di Genova: sicurezza ai massimi livelli, senza compromessi
Nell’estate del 2001, l’Italia ospitò il G8 di Genova, il meeting internazionale che riuniva i principali Capi di Stato del mondo. A supporto delle misure di sicurezza, la Brigata Paracadutisti Folgore fu schierata nella zona rossa dell’aeroporto di Genova.
Per i giorni del meeting, i paracadutisti italiani operarono come Agenti di Pubblica Sicurezza, con il compito di:
- Controllare, fermare e perquisire chiunque entrasse o si muovesse all’interno dell’aeroporto.
- Sorvegliare gli hangar e i punti sensibili, applicando rigide regole d’ingaggio per la protezione dell’area.
- Monitorare l’area perimetrale con operatori delle forze speciali armati di carabine e visori notturni.
Il 20 luglio, ai paracadutisti fu assegnato un compito di primaria importanza: sorvegliare il perimetro dell’Air Force One, l’aereo presidenziale americano, garantendo la sicurezza del Presidente George W. Bush.

Operazione Antica Babilonia – Iraq
Durante la missione Antica Babilonia (2003-2006) in Iraq, il contingente italiano operò in una zona delicata, con Nassiriya come centro nevralgico.
L’attentato del 12 novembre 2003 contro la base Maestrale di Nassiriya segnò un punto di svolta. Il 6 aprile 2004, unità italiane – tra cui l’11° Reggimento Bersaglieri e il Savoia Cavalleria – furono coinvolte in uno scontro di 18 ore, il più lungo combattimento per l’Esercito Italiano dalla Seconda Guerra Mondiale.
L’azione valse all’11º Reggimento la Croce di Guerra al Valor Militare. Nonostante la relativa stabilità del settore sciita, l’Italia subì gravi perdite, tra cui i 19 caduti nell’attentato di Nassiriya, il più sanguinoso subito dalle Forze Armate italiane in missioni all’estero.

Nel difficile Sudan
Nell’estate del 2005, il 183° Reggimento Paracadutisti Nembo sarà schierato in Sudan nell’operazione Nilo.
Il compito dei Paracadutisti di Pistoia, inquadrati nella Task Force Leone, è quello di far rispettare il trattato di pace firmato il 9 gennaio tra il presidente sudanese Omar el-Bashir e John Garang, leader del Sudan People’s Liberation Army (SPLA), il principale movimento indipendentista. Questo accordo ha posto fine a vent’anni di guerra per il controllo delle regioni meridionali del Sudan.
L’operazione si svolge sotto il comando dell’ONU, con regole di ingaggio ben precise, ma in un contesto operativo delicato e instabile. Il clima di tensione e le difficoltà sul campo rendono la missione particolarmente impegnativa, ma proprio queste sfide esaltano la determinazione e la professionalità dei militari italiani.
Grazie all’eccezionale lavoro della Task Force Leone, l’Italia si distingue nel peacekeeping in Sudan, ottenendo un successo straordinario. L’operato italiano viene riconosciuto e applaudito dalla stessa ONU, consolidando il prestigio delle Forze Armate Italiane nelle missioni internazionali.

Si torna in Libano
Il 28 agosto 2006, un contingente navale italiano salpò alla volta del Libano nell’ambito dell’Operazione Leonte. La flotta era composta dalla portaerei Garibaldi, dalle navi da sbarco San Marco e San Giusto, dalla fregata Espero e dalla corvetta Fenice. Dal porto di Marghera (Venezia) partì inoltre un’unità mercantile con a bordo i mezzi del Genio dell’Esercito Italiano.
All’inizio del 2007, il 186° Reggimento Paracadutisti venne nuovamente schierato in Libano, un’area già nota ai paracadutisti di Siena, essendo stato il Libano il primo teatro operativo estero dell’Esercito Italiano. Il reggimento aveva già partecipato alla missione Italcon negli anni ‘80.
Nonostante il tempo trascorso, la situazione appariva immutata, con un contesto di instabilità e devastazione simile a quello di 25 anni prima.
Il compito dei militari italiani era garantire che l’area operativa libanese, destinata al disarmo di Hezbollah, non venisse utilizzata per attività offensive. Gli italiani furono impegnati in pattugliamenti, scorte e protezione di siti sensibili, svolgendo un ruolo cruciale nella missione di stabilizzazione e sicurezza della regione.

Giugno 2006, nasce la Task Force 45
Nel giugno 2006, venne costituita la Task Force 45, il più grande dispiegamento di forze speciali italiane mai schierato dal dopoguerra.
Già a luglio dello stesso anno, l’unità entrò in azione nelle montagne afghane, partecipando alla Operazione Medusa, una delle più rilevanti operazioni condotte dalla coalizione internazionale in Afghanistan.
Compiti operativi della Task Force 45:
- Disarticolazione delle formazioni talebane, con particolare attenzione alla neutralizzazione delle leadership dei gruppi.
- Prevenzione di attentati diretti contro i militari italiani e della coalizione.
- Liberazione di ostaggi, sia civili che militari.
- Supporto alle forze di polizia afgane nell’esecuzione di mandati di arresto contro soggetti considerati pericolosi.
- Lotta ai traffici illeciti di armi destinate ai gruppi insurgents.
- Sicurezza per personalità politiche, civili e militari, sia locali che internazionali.
- Creazione di zone sicure in attesa dell’arrivo delle forze convenzionali.
L’impegno della Task Force 45 si dimostrò determinante per il contrasto alle forze talebane più estreme e per la stabilizzazione delle aree sotto minaccia insurgents.

Le Missioni in Afghanistan
L’Italia e gli italiani ebbero un ruolo centrale nelle missioni ISAF e Resolute Support in Afghanistan, assumendo giá dal 2006 il comando del Regional Command West (RC-West), un’imponente area di circa 162.000 km².
A testimoniare l’importanza dell’Italia e dei suoi soldati durante lla missione ISAF a guida NATO, solo quattro paesi – successivamente ridotti a tre – ebbero il comando delle cinque aree regionali (Regional Commands – RC).
- RC-West (RC-W) – (sotto comando italiano, comprendeva le province di Herat, Badghis, Farah e Ghor)
- RC-East (RC-E) – (sotto comando statunitense, comprendeva province come Kunar, Nangarhar e Paktika)
- RC-South (RC-S) – (sotto comando britannico e successivamente statunitense, includeva province come Kandahar, Helmand, Zabul e Uruzgan)
- RC-Southwest (RC-SW) – (sotto comando statunitense, copriva Helmand e Nimroz)
- RC-North (RC-N) – (sotto comando tedesco, comprendeva province settentrionali come Balkh, Kunduz, Baghlan e Faryab)

Il Generale Marco Bertolini sarà inoltre il primo italiano, nel 2009, a ricoprire il prestigioso incarico di Capo di Stato Maggiore della missione ISAF, posizionandosi ai vertici dell’intera operazione, composta da decine di migliaia di soldati provenienti da oltre 40 nazioni.

L’impegno italiano, il più grande dalla Seconda Guerra Mondiale, si protrasse fino al 2021, con il ritiro definitivo del contingente, condotto dal 186º Reggimento Paracadutisti Folgore, in un contesto di elevata pericolosità e forte instabilità. L’operazione di rientro, condotta dall’allora Colonnello Federico Bernacca (attuale Comandante della Brigata Paracadutisti Folgore), fu eseguita con un preavviso pressoché inesistente, a causa del repentino cambiamento dello scenario geopolitico internazionale.
Durante il lungo dispiegamento, durato oltre 15 anni, le Forze Armate Italiane furono coinvolte in numerosi scontri armati, subendo la perdita di 53 militari e riportando 723 feriti.

Operazione Strade Sicure: i militari a tutela della sicurezza nazionale
L’Operazione Strade Sicure, avviata nel luglio 2008, prevedeva l’impiego delle Forze Armate Italiane nel contrasto alla criminalità e nella tutela dell’ordine pubblico, in supporto alle forze di polizia.
Prorogata più volte nel corso degli anni e tuttora in atto, la missione assegna ai militari italiani la qualifica di Agenti di Pubblica Sicurezza, con compiti che includono:
- Perlustrazione e pattugliamento in aree a rischio, in collaborazione con le forze di polizia.
- Contrasto alla microcriminalità e prevenzione di attività illecite.
- Vigilanza di siti e obiettivi sensibili, come ambasciate, luoghi di culto, stazioni e infrastrutture critiche.
- Incremento della deterrenza nei confronti di possibili minacce alla sicurezza pubblica.
L’operazione, attiva in numerose città italiane, rappresenta un’eccellente modello di collaborazione tra forze armate e forze dell’ordine, unico in Europa, contribuendo in modo significativo alla sicurezza del territorio.

Si torna in Somalia
Nel gennaio 2010, il Consiglio Europeo approva l’invio di una missione militare per contribuire all’addestramento delle Forze di sicurezza somale, denominata European Union Training Mission Somalia (EUTM o EUTM-S). Il quartier generale della missione fu inizialmente stabilito a Kampala, in Uganda, fino a marzo 2013; successivamente, da aprile 2013, venne trasferito a Mogadiscio, presso l’Aeroporto Internazionale di Mogadiscio (MIA).
Il contributo nazionale italiano, definito dalla Legge 131/2016, autorizzò per tutto il 2017 l’impiego di un massimo di 423 militari e 18 mezzi terrestri, con incarichi che spaziavano dall’addestramento delle Forze Armate somale alla sicurezza del contingente, dal supporto logistico e amministrativo al ruolo di staff del Comandante.
Dal 2014, l’Italia assume la posizione di Mission Commander, con il Generale Massimo Mingiardi come primo comandante Italiano della missione. Attualmente, la missione è ancora in corso ed è sotto la guida del Generale Giuseppe Zizzari.
La missione EUTM Somalia contribuisce alla formazione dei militari somali, concentrandosi in particolare sulla preparazione di ufficiali, specialisti e istruttori. Questa operazione rientra tra le iniziative dell’Unione Europea per stabilizzare la Somalia, ancora teatro di conflitti, dove il governo di Mogadiscio, supportato dalle truppe dell’Unione Africana, si opponeva alle milizie qaediste Al-Shabaab.
Un’ulteriore conferma del costante impegno dell’Italia nelle operazioni internazionali per la sicurezza e la stabilità dei paesi in difficoltà.

Libia, a difesa della missione medica
Con un preavviso di poche settimane, nel settembre 2016, i militari italiani furono inviati in Libia nell’ambito dell’Operazione Ippocrate.
Il loro compito principale era garantire la sicurezza del contingente italiano impegnato nella missione medica a Misurata. Il dispositivo comprendeva 65 tra medici e paramedici, 135 addetti alla logistica, una compagnia organica di paracadutisti del 186° Reggimento Paracadutisti Folgore destinata alla “forza di difesa” e un assetto specialistico dell’8° Reggimento Guastatori Paracadutisti Folgore.
La base dell’operazione era situata presso l’ex Accademia Aeronautica libica, dove era già operativo un nucleo avanzato di incursori del 9° Reggimento Col Moschin, incaricato di predisporre il terreno per l’intervento italiano.

Operazione Prima Parthica – Lotta all’ISIS
Dal 2014, l’Italia partecipa alla Operation Inherent Resolve (OIR), una coalizione multinazionale di 84 nazioni e 5 organizzazioni internazionali impegnata nel contrasto al Daesh in Iraq e Siria. L’operazione si svolse nel quadro dell’Art. 51 della Carta dell’ONU e delle Risoluzioni 2170 e 2178 del 2014, in risposta alla richiesta d’aiuto del governo iracheno.
Un ruolo chiave fu svolto dal Generale Roberto Vannacci, che tra settembre 2017 e agosto 2018 assunse il comando del contingente nazionale terrestre nell’Operazione Prima Parthica, ricoprendo anche l’incarico di Deputy Commanding General for Training della coalizione anti-ISIS.

Un impegno costante in teatri di crisi
Questi sono solo alcuni esempi, che dovrebbero invitare la Signora Littizzetto e chi condivide il suo pensiero a una riflessione più approfondita.
Attualmente, l’Italia è impegnata in 40 missioni internazionali, tra cui l’Operazione Leonte in Libano nell’ambito di UNIFIL, la missione MISIN in Niger per l’addestramento delle forze locali, la Task Force Praesidium in Iraq per la protezione della Diga di Mosul e la missione EUTM-Mali per il supporto alla riorganizzazione e all’addestramento delle forze armate maliane.
Le Forze Armate Italiane continuano a operare con professionalità e dedizione, confermandosi un punto di riferimento a livello internazionale.
Non va inoltre dimenticato il ruolo dell’Esercito Italiano sul territorio nazionale: oltre agli impieghi operativi già citati, come le operazioni Vespri Siciliani, il G8 di Genova e Strade Sicure, è sempre in prima linea nelle emergenze, intervenendo in caso di alluvioni, calamità naturali e crisi sanitarie, come la pandemia da COVID-19, garantendo supporto e assistenza alla popolazione.

Conclusione
Le Forze Armate Italiane sono una componente essenziale della politica di sicurezza e difesa del Paese, con un livello di preparazione allineato ai migliori standard NATO. Il loro impegno si è tradotto nel sacrificio di numerosi soldati, caduti nell’adempimento del proprio dovere.
Le critiche sterili e denigratorie non intaccano il valore di uomini e donne che, con dedizione e spirito di servizio, operano quotidianamente per la sicurezza nazionale e internazionale, spesso in contesti ad alto rischio.
Piuttosto che ironizzare su chi serve con sacrificio, sarebbe opportuno informarsi e riconoscere il loro contributo alla pace e alla stabilità globale, un impegno portato avanti con professionalità e senso del dovere.
Pubblicato da Condoralex
Al secolo Alessandro Generotti, C.le magg. Paracadutista in congedo. Brevetto Paracadutista Militare nº 192806. 186º RGT Par. Folgore/5º BTG. Par. El Alamein/XIII Cp. Par. Condor.
Fondatore e amministratore del sito web BRIGATAFOLGORE.NET. Blogger e informatico di professione.
Comica de che? Solo volgare,prevenuta, ignorante e obnubilata dall’ideologia che obnubila la gran parte degli addetti del mondo della TV,cinema e stampa. Fa chic essere radical-chic ed essere politicamente corretti solo sulle cose che convengono. Poi,si può essere scorretti quando si parla a vanvera di Militari senza avere la più pallida idea di cosa significhi esserlo e blaterare su presunti quanto inesistenti comportamenti scorretti di CC e PS, stando sempre in panciolle e senza avere mai rischiato niente nella vita od al massimo aver rischiato di perdere un aereo.Ma è storia vecchia e tragica,centinaia di manigoldi adesso riciclati nelle varie redazioni od in cda di imprese e banche, firmarono un vergognoso appello contro il Commissario Calabresi e sappiamo tutti come andò a finire! Ad uno di questi beltomi, conferirono pure un Nobel, quindi di cosa parliamo? Viviamo in un Paese ed in un mondo capovolti, dove chi delinque quasi sempre la fa franca e chi cerca di impedire che si delinqua,viceversa, viene perseguito, dileggiato,denigrato e guadagna pure quattro soldi. A tutti gli altri, senza meriti, senza rischi,senza arte nè parte, cachet sostanziosi, applausi e notorietà. Ma chi è fesso, Carnevale o chi lo festeggia? Fosse per me, la tizia in argomento, potrebbe andare a lavare stoviglie in una bettola di quart’ordine,senza offesa alcuna per chi rigoverna onestamente le stoviglie, ovviamente!
Hai ragione!
Non ne vale prenderla in considerazione.
Littizzetto hai letto????
Complimenti a chi ha scritto l’articolo, non fa una piega. Espone con chiarezza e senza esaltazioni e/o esagerazioni l’efficienza dell’esercito italiano, spesso e purtroppo mal considerato da una certa parte dell’italia. Fatelo arrivare alla lettizzetto.
Hai ragione Loris!
Siete stati troppo gentili con la Littizzetto!
La Littizzetto deve essere sbattuta fuori dai programmi della RAI!
La tizia nemmeno ci dovrebbe stare in Rai, fermo restando che non ho mai seguito un programma suo e del suo compagno di merende. Per fortuna hanno inventato i telecomandi.Poi, qui, più o meno, nell’ esercito ci siamo stati tutti o quasi. Ma il problema non è lo spirito di corpo che pure è importante ma non per difendere gli addetti dalle boiate di una sopravvalutata, comunque degna della TV spazzatura che impera oggi. Il problema è che si mandano messaggi negativi a minori e ad adulti che magari non possiedono i fondamentali per un giudizio obiettivo ed informato. “L’han detto in TV” quindi è vangelo!D’altra parte ci ritroviamo in un Paese dove solo il 14% degli intervistati sarebbe pronto a combattere in caso di necessità. Contro un 73% dei Finlandesi, per citare un solo Paese interessato alla domanda. Si dovrebbe riflettere su cause, responsabiltà ed anche colpe dolose che sicuramente ci sono. È una triste e scomoda verità ma è la fotografia dell’attuale stato dell’ arte!
Un Avvocato ha presentato un esposto alla Procura di Milano per presunto vilipendio delle FF.AA Italiane. Art. 290 c.p. . La Procura di Milano non mi tranquillizza enormemente, comunque vedremo. Stapperei una bottiglia se si giungesse ad un condanna di carattere pecuniario rilevante, la galera la escluderei anche se 90 giorni al gabbio, alla presunta comica non farebbero affatto male,magari imparerebbe a vivere! Tra le argomentazioni addotte dall’Avvocato,tutte pertinenti, una l’avevo ipotizzata anche io, in un precedente commento. Ovvero,oltre ad offendere tutti i Militari,si mina pure la fiducia dei cittadini nei confronti degli stessi. Non tutti sono attrezzati per discernere e valutare con compiutezza. Avevo scritto che la vulgata classica è la seguente: ” è vero perchè l’ho sentito in TV”.
Come se la verità fosse una prerogativa di un qualsiasi mezzo d’informazione. Non parliamo poi del web, dovremmo stare sino a domani mattina e nemmeno basterebbe.