Il nostro mestiere non prevede situazioni tranquille. Per quelle ci sono altre organizzazioni.
Sergente Maggiore Paracadutista Giampiero Monti 183° RGT Paracadutisti “NEMBO”
Ferito in combattimento il 2 luglio 1993 e medaglia d’argento al valor militare.
Introduzione del Webmaster
Ricostruire i fasti del 2 luglio 1993 non è stato facile. Per niente facile.
Penso di aver raggiunto, dopo oltre 20 anni di ricerche e con la collaborazione (ovviamente) di chi ha vissuto quella battaglia, una versione molto vicina alla realtà.
Di chi l'ha vissuta veramente, perchè come dice il Generale Paolo Riccò nel suo libro I diavoli neri. La vera storia della battaglia di Mogadiscio, la via imperiale avrebbe dovuto essere "l'autostrada del sole" se contiamo uno per uno tutti quelli che sostengono di averci combattuto.
Tutto il mondo, a parole, ha combattuto a pasta, negli anni ho ascoltato racconti da gente che neanche era stata in Somalia...
Comunque, durante le mie ricerche ho scoperto che molte cose e molte versioni pubblicate a destra e a manca, erano ben lontane dalla realtà.
C’è una versione pubblicata a suo tempo su un noto mensile di orientamento militare, quindi la più autorevole dell'epoca, e diffusa anche sul web che ha addirittura sbagliato i tempi invertendo la cronologia dei primi due caduti.
Ovvio che molte cose mancano nella ricostruzione, ci mancherebbe. Ma prima di scrivere particolari importanti mi sono assicurato che questi fossero realmene accaduti. Molte cose quel giorno non hanno funzionato a dovere.
Occorrre però ricordare che eravamo a “digiuno” da cinquant’anni, mi sembra quindi fisiologico… l’ultimo scontro di queste proporzioni infatti i militari taliani lo avevano avuto alla fine della seconda guerra mondiale.
Nonostante tutto, anche quel giorno, i Paracadutisti d’Italia e i militari con loro coinvolti, hanno tenuto alto l’Onore Militare Italiano dimostrando che potevano piegarsi sì, ma spezzarsi mai.
Ma cosa è successo realmente il due 2 luglio 1993?
Vediamolo da vicino. Sono le 5 del mattino di un caldo venerdì d’estate. E’ il 2 luglio 1993 e siamo a Mogadiscio, Somalia, missione IBIS e i raggruppameni Alfa e Bravo sotto il comando del Generale Bruno Loi sono pronti ad effettuare l’ennessimo rastrellamento.
Fino al mese di giugno del 1993 il contingente Italiano aveva rastrellato a tappeto tutta la zona di sua competenza, mancava però la grossa zona di Aliwa, quartiere attraverso il quale gli Italiani passavano in continuazione avendo il comando Brigata a Mogadiscio, nell'ex Ambasciata Italiana, oltre al comando Italfor XX al porto vecchio mentre il campo più grande a Balad, direzione nord.
Mogadiscio e Balad sono collegate dalla via imperiale, un’arteria che parte dal mare ed arriva fino ad Addis Abeba, in Etiopia. Costruita dagli Italiani negli anni ’30, la via imperiale è la più importante strada di comunicazione della Somalia e lungo il suo percorso gli italiani presidiavano numerosi check-point: banca, obelisco, nazionale, demonio, ferro, pasta.
Il check point pasta situato all’incrocio tra la via imperiale e la via 21 ottobre prende il nome da un vecchio pastificio abbandonato che sovrasta il vasto quartiere di Aliwa , nel cuore del territorio di Mohamed Farah Aidid.
Ho cominciato a documentarmi della Battaglia nel 1998 quando ne venni a conoscenza da un amico Maresciallo dall’11° Reggimento Trasmissioni Leonessa presente quel giorno nella capitale Somala.
Cominciai a raccogliere più informazioni possibili, sia cartacee sui libri (in verità pochi all’epoca, e pochi anche ora) che elettroniche con l’ausilio di internet.
Successivamente arruolandomi nella Brigata Paracadutisti Folgore fui lusingato nel venir a contatto con chi quella Battaglia l’aveva combattuta veramente.
A Mogadiscio si combatterono in quell’epoca due furiose battaglie: quella del 3 ottobre 1993 (da cui è tratto il film Black Hawn Down) che vise schierati i soldati americani del 75° Rangers e della Delta Force, e appunto quella del 2 luglio 1993.
Negli ultimi anni sono uscite informazioni che vanno a completare quasi completamente il puzzle del 2 luglio.
Ma l’informazione più importante rimane tutt’ora un mistero: non si sa ancora ufficialmente, e probabilmente non lo sapremo mai, perchè i Somali reagirono così, in quel modo. Sembra che una squadra di Intelligence italiana lo avesse localizzato, ma non era intenzione degli Italiani catturarlo.
Non sicuramente dai Paracadutisti schierati dal Generale Loi. Il loro compito era “solo” di rastrellare la zona del pastificio, portare a termine l’operazione Canguro 11. I Paracadutisti avevano sequestrato un grosso quantitativo di armi e munizioni, era quello il Loro compito quel giorno. Canguro 11, in un certo senso, aveva compiuto la sua missione. Quello che successe dopo non era previsto nell’operazione. L’inferno però, in questi casi, è sempre dietro l’angolo.
Ma come sempre, ferita nell’animo, la FOLGORE non la si vinse neanche quel giorno. Ferita, offesa, ma non vinta.
Ore 5:00: inizia il rastrellamento
Alba del 2 luglio 1993, l ‘operazione Canguro 11 sta per partire. Sono le 5 del mattino e da Balad comincia a muoversi l’autocolonna italiana verso Mogadiscio.
Il Generale Loi schiera una forza imponente: 550 Paracadutisti e 400 poliziotti Somali, trasportati a bordo di VCC e Fiat 6614.
A dar loro man forte otto blindo centauro B-1 dei Lancieri di Montebello e sette carri armati M-60 del 132° Ariete. L’operazione, articolata in due raggruppamenti, Alfa e Bravo, è seguita dall’alto dagli elicotteri da combattimento A-129 Mangusta e dagli AB-205.
Le strade polverose della capitale somala vengono sovrastate dai cingoli dei mezzi italiani e superato il Check Point Pasta, i militari italiani prendono posizione all’interno della zona obiettivo, un quadrilatero di 400 per 700 metri tra "Pasta" e "Ferro", un caposaldo italiano in un quartiere abitato dalla tribù di Aidid "Ha-ber-ghidir". Le squadre scendono dai mezzi e i Paracadutisti isolano la zona. Altre squadre, appoggiati dalla polizia somala cominciano i rastrellamento casa per casa alla ricerca delle armi.
La tensione fra i due maggiori capi somali, Aidid e Ali Mahdi, è altissima e i signori della guerra non sembrano intenzionati a mettere fine ai continui scontri, e vi è il rischio che da un momento all’altro si accendano scontri con il contingente multinazionale. Proprio per questo lo spiegamento messo in atto dal Generale Bruno Loi è imponente.
I nostri soldati sanno di essere in missione di pace, ma anche che un’operazione di peace keeping tra due fazioni, nasconde delle insidie notevoli. Nessuno se lo augura ma può accadere di tutto.
Il rastrellamento è quasi terminato. I Paracadutisti, verso le 6 e 30, trovano un grosso depositato di armi: tre somali vengono arrestati e portati alla base per essere interrogati. Ma proprio in questo momento la situazione si inasprisce. La tensione comincia a montare e cominciano a sentirsi i primi spari in aria, senza capire però da dove arrivino.
Il primo caduto
Mancano poche decine di metri alla fine del rastrellamento e all’improvviso i poliziotti somali spariscono.
C'è qualcosa di diversamente teso nell'aria. Un equilibrio precedentemente solido, fondamento delle relazioni amichevoli tra Somali e Italiani, sembra essersi improvvisamente spezzato, dando vita a un'inaspettata ondata di tensione.
È venerdì 2 luglio 1993, e sono le 7:40 del mattino quando, inaspettatamente, gli abitanti del quartiere iniziano a riversarsi per le strade, lanciando insulti verso gli Italiani. Le prime barricate diventano il palcoscenico di un'intensa sassaiola e di spari sporadici.
Oggi c'è qualcosa di diverso nell'aria. Un equilibrio precedentemente solido, fondamento delle relazioni amichevoli tra Somali e Italiani, sembra essersi improvvisamente spezzato, dando vita a un'inaspettata ondata di tensione. È venerdì 2 luglio 1993, e sono le 7:40 del mattino quando, inaspettatamente, gli abitanti del quartiere iniziano a riversarsi per le strade, lanciando insulti verso gli Italiani. Le prime barricate diventano il palcoscenico di un'intensa sassaiola e di spari.
I paracadutisti italiani cercano di mantenere la calma; il Generale Loi, nel tentativo di ristabilire il controllo sul territorio, ordina azioni di fuoco a scopo intimidatorio. Tuttavia, ogni tentativo sembra vano, con la tensione che si intensifica a momenti. Per il contingente italiano, l'episodio si conclude qui, forse come un monito: l'atmosfera sta cambiando, anche per gli italiani.
Ma all'improvviso, l'ultima parte della colonna italiana si trova bloccata da nuove barricate, e le truppe vengono colte da fuoco incrociato.
I miliziani si nascondo tra la folla, nelle case, sui tetti. Questa volta si tratta di un vero e proprio scontro armato. L'armonia precedentemente esistente tra italiani e somali si è definitivamente infranta. Dopo cinquant'anni, l'Italia si trova coinvolta in uno scontro armato, in quello che avrebbe dovuto essere un contesto di missione di pace.
Accorrono gli incursori del Col Moschin. La terza compagnia delle forze speciali manda due distaccamenti di incursori paracadutisti. Il loro compito è di stanare i cecchini somali e sbloccare la colonna inchiodata sotto il fuoco nemico.
Comincia un combattimento violentissimo con raffiche di SCP e colpi di bombe a mano. Durante l’ennessimo assalto, alle ore 9:30 circa, viene colpito da una raffica di kalashnikov il Sergente Maggiore Incursore Stefano Paolicchi. Aveva appena distrutto una postazione di mortaio con un lancio millimetrico di due granate OD-82.
Colpito all’altezza della milza, nell’unica parte non protetta dal giubetto antiproiettili, urlerà, in fin di vita, agli uomini della sua squadra, di continuare a combattere. Trasportato all’ospedale di Mogadiscio morirà poche ore dopo.
E’ la prima vittima del due luglio.
Si torna a pasta
A questo punto il Generale Loi ordina al raggruppamento Bravo, che aveva nel frattempo quasi raggiunto Balad, di invertire la rotta e ritornare su Mogadiscio, direzione pasta per difenderlo da eventuali attacchi: gli uomini in servizio al presidio sono rimasti soli. Il Capitano Riccò, comandante della XVª Compagnia Diavoli Neri del 186° Rgt. Par. Folgore, racconterà nel suo libro, se ne era già accorto durante il ripiegamento.
Viene quindi creata una colonna di mezzi composta da tre AR76 che avrebbero aperto la strada seguiti da altrettanti VCC e due blindo Centauro. Il Serg. Magg. Monti chiede di poter tornare al Pastificio con la sua squadra. I suoi Paracadutisti lo seguono volontariamente, tra questi Massimiliano Zaniolo. Nessuno si rifiuta di partecipare all’operazione.
La colonna composta dai Paracadutisti della XVª del 186° Rgt. e XIIª del 183° Rgt. Par. Nembo si sta avvicinando all’inferno.
Occhi aperti, colpo in canna e si arriva lungo la Via Imperiale. Più avanti, in prossimità di un incrocio, vi è il check-point pasta, così chiamato perché allestito in prossimità di un pastificio abbandonato.
La strada è inizialmente deserta, ai lati della carreggiata i resti delle barricate e qualche auto in fiamme, si sentono, lontano, gli echi delle raffiche. Oltre l’incrocio c’e un ostacolo. Arrivati a "pasta" la situazione sembra "tranquilla", ma trecento metri più avanti si stanno alzando delle barricate. Altre vengono costruite alle spalle della colonna.
In trappola
Il Capitano Riccò si rende conto di essere intrappolato. Prende quindi l'iniziativa e con i suoi Sottufficiali e Paracadutisti cerca di sgomberare l'area stanando i somali uno per uno, casa per casa tetto, per tetto.
Ormai ci si trova in pieno combattimento. I Paracadutisti italiani guadagnano spazio, ma arrivano sempre più somali. E' evidente che stanno cercando di circondarli.
I mezzi blindati vengono disposti in posizione sfalsata lungo la via imperale in modo da poter garantire un efficace fuoco incrociato.
Il sottotenente Romeo Carbonetti sul primo VCC, ed il Paracadutista Pasquale Baccaro sul secondo sparano con le MG facendo pulizia di tutto quello che trovono davanti. Il Seg. Magg. Giovanni Bozzini invece impugna la Browning sul terzo VCC. I blindati cominciano ad avanzare guadagnando metri.
Tuttavia arrivano altri somali facendo fuoco anche dal pastificio. Uno dei VCC, quello dello del giovane sottotenente Romeo Carbonetti, che espone il fianco verso quella sorgente di fuoco, diventa una calamita per le pallottole. Ora sono gli italiani che si trovano sotto il fuoco incrociato.
Poi un un istante. Un istante che cambia tutto. La vita e il futuro di un gruppo di giovani militari. Sono le 10 e 40 del 2 luglio 1993.
Da una strada laterale arriva un colpo mortale. Un RPG-7 colpisce il secondo VCC e la carica cava perfora la corazza, colpendola proprio sopra la parte superiore del cingolo. Sono istanti che sembrano lunghi anni. Il Serg. Magg. Bozzini salta immeditamente dal VCC, dentro il mezzo è l'inferno: il portellone si apre di colpo ed escono i primi feriti, il Paracadutista Massimiliano Zaniolo per primo, con la mano devastata, dietro di lui il Serg. Magg. Monti con l'addome squartato e profonde ferite alle gambe. Ma ha la peggio il Paracadutista Pasquale Baccaro alla MG: ha una gamba dilaniata dal dardo di fuoco generato dal razzo controcarro. Viene adagiato fuori dal carro, è ancora vivo, ma perde conoscienza.
I feriti vengono adagiati in una vicina zona di sicurezza. Tuttavia il Capitano RIccò è convinto che se riuscisse ad evacuare velocemente i feriti, Baccaro potrebbe salvarsi, forse addirittura riuscirebbero a riattaccargli la gamba.
Ora però bisogna continuare a difendersi e a contrattaccare poichè i somali, galvanizzati dal colpo dell'RPG, si fanno sotto. Intensificano l'assalto, i colpi rimbalzano sul VCC appena colpito che si trova ancora esposto ai miliziani.
Il mezzo viene rimesso in moto, a fatica, quindi rimosso dalla posizione per evitare di essere colpito nuovamente da razzi controcarro.
Passano i minuti, le ambulanze e i soccorsi sono bloccati dal fitto fuoco avversario e dalle barricate.
Un elicottero militare cerca di atterrare nelle vicinanze per prelevare i feriti. Le posizioni vengono segnalati con le fumate rosse, ma non c’è possibilità: proverà due volte, ma sarà pesantemente bersagliato dal fuoco dei Somali e dovrà riepiegare verso la base.
Bisogna fare da soli per uscire fuori dalla situazione.
E' in questo però che si verifica un fatto gravissimo dal punto di vista militare:
Il Capitano Riccò nota che la sua AR76 si allontana insieme ad altri mezzi tra cui la blindo Centauro verso Pasta. Il comandante di Battaglione ed il comandante della XIIª Compagnia Leopardi sono stati leggermenti feriti dall'ondata di schegge prodotte dal razzo sulla corazza del VCC di Baccaro. Quindi il comandante di Battaglione pensa ad un ripiegamento su pasta portandosi via buona parte dei mezzi e degli uomini, SENZA AVVISARE LA XVª Compagnia. Ora i Diavoli Neri sono soli, senza radio, posta sulla AR76 (quella sul VCC comunicava su frequenze differenti) e senza il supporto delle blindo Centauro.
Ci si avvicina alle 11 del mattino ed i combattimenti continuano in maniera incessante.
I Paracadutisti della XVª Compagnia sparano a raffica con i loro fucili d’assalto e lanciano granate per evitare che i somali prendano il sopravvento.
Nel frattempo Il Capitano Riccò pensa già a come ripiegare. Sono rimasti soli, senza poter comunicare via radio e con diversi feriti tra cui Paquale Baccaro in gravissime condizioni.
Ma non c'è più tempo per il giovane Paracadutista pugliese: gli morirà tra le braccia nel giro di pochi minuti mentre cercherà di dissetarlo.
Aveva 21 anni. E’ la seconda vittima del 2 luglio. Ora però bisogna evacuare ed in fretta. La situazione è sempre più pericolosa.
Ripiegare su pasta
Il mezzo colpito viene rimesso in moto, i feriti vengono caricati a bordo e il reparto lascia il luogo dell’agguato mentre l’intero quartiere è ormai in rivolta.
I Diavoli Neri del 186° Rgt raggiungono finalmente pasta dove trovano anche il Comandante di Reggimento ed altri Paracadutisti. Nessuno sa degli scontri e delle perdite avute.
Ma il caos, a pasta, regna sovrano. Ci sono troppi mezzi e uomini concentrati in uno spazio. Tanta e troppa confusione.
In questi momenti è un turbinio di manovre brusche, spari, ordini urlati. E tutto a portata di mano dei miliziani somali che stanno per completare l'accerchiamento. Si combatte ovunque lungo la via Imperiale, si spara dalle vie traverse, in particolare dal pastificio.
Nel frattempo il Sottotenente Gianfranco Paglia sale sul VCC guidato dal Paracadutista Renzo Polifrone e porta via gli ultimi feriti da pasta con l'ordine di non tornare.
A qualche decina di metri di distanza i Paracadutisti Giuseppe Zivillica e Marco Vicenzetto sono rimasti feriti dal fuoco dei somali.
Perdono molto sangue e non riescono a muoversi: si adagiano su una blindo centauro comandata dal Sottotenente Fabio Tirolo dell’8° Reggimento Lancieri di Montebello.
Il Capitano Paracadutista Emilio Ratti osserva la scena e pur avendo ricevuto ordine di non muoversi ed attendere disposizioni via radio decide di sfruttare il blindato per evacuare i feriti: il Sottonente Tirolo si rifiuta. Anche a lui hanno ordinato di rimanere lì.
Ma il Capitano Ratti non ci sta. Da un ordine ancora più perentorio, come ha riferito Tirolo in una recente intervista in un documentario televisivo, con queste testuali parole:"Cavaliere le cose sono due, o porta questi Paracadutisti in salvo o le sparo" . Solo allora il carro si mette in movimento incontrando però numerose barricate e colpi di arma da fuoco.
Intanto però i militari italiani a pasta sono completamente circondati.
Gli elicotteri A-129 MANGUSTA e i corazzati chiedono il permesso di poter utilizzare le loro armi.
Se entrassero in azione i 105/51 mm degli M-60 e i 105/52 mm delle blindo CENTAURO e se gli elicotteri potessero sparare i missili TOW, il compito delle truppe a terra sarebbe facilitato e l’assedio rotto con minor rischi per i soldati dell’IBIS.
Ma il Generale Loi non se la sente di rischiare una carneficina. I colpi di cannone tra le case causerebbero sicuramente una strage coinvolgendo anche civili innocenti. L’autorizzazione ad aprire il fuoco non arriva. "Identificate e neutralizzate i centri di fuoco" risponde il Comando.
Si tratta di un lavoro molto rischioso che può essere affidato soltanto a soldati professionisti. Cecchini e postazioni vengono segnalati da terra e dagli elicotteri. Sui VM arriva la QRF costituita da operatori del Col Moschin, cui spetta il compito più difficile, quello di far tacere mortai e lanciarazzi attaccandoli con le armi individuali o di squadra, ma senza l’appoggio delle armi pesanti.
Due distaccamenti di incursori settacciano tutte le stradine parallele alla via imperiale eliminando uno ad uno tutti i miliziani.
Si sviluppa un combattimento casa per casa contro i miliziani in agguato.
Durante uno sganciamento, il Sergente Maggiore Stefano Ruaro, incursore Paracadutista, viene colpito in tre punti del corpo negli arti inferiori, da una raffica di kalashnikov mentre è alla guida del suo VM.
Perde molto sangue ed ha le gambe profonde ferite alle gambe ed un braccio, ma si nasconde dietro ad un mezzo permettendo ai suoi compagni di continuare a combattere.
Nella bufera più totale, con pallottole che schizzano ovunque, gli Incursori lasciano un VM90T con le chiavi di accensioni inserite. Le forze speciali erano gli unici ad avere questo tipo di mezzo con la Browning 12,7 in ralla. Un gruppo di somali se ne impossessa.
I miliziani salgono a bordo del gippone, esultano, fuggono via con il loro bottino e sparano con la potente mitragliatrice sugli italiani. Colpiscono subito un elicottero AB 205 che sarà costretto a rientrare alla base.
Vengono però individuati da un elicottero da combattimento A-129 Mangusta guidato dal Capitano Gianni Adami. Il puntatore li inquadra e chiede l’autorizzazione a sparare. Le imprecazioni riecheggiano nell’interfono, adesso il gippone sparisce nel dedalo di viuzze del quartiere.
Ma il pilota dell’elicottero non molla la preda. Vola radente sfiorando i tetti delle case, e pur cosciente di poter essere abbattutto ingaggia un ravvicinato combattimento. I somali reagiscono con violenza: brandeggiano la grossa mitragliatrice e colpiscono l’elicottero al vetro anteriore.
L’ufficiale non ci sta. Il mezzo sembra scomparire, ma è solo un attimo: viene riavvistato e questa volta puntato per essere abbattuto. Quel VM, si saprà successivamente, porta al proprio interno diversi chilogrammi di esplosivo C-4 in dotazione agli Incursori del Col Moschin.
L’A-129 s’inclina, inquadra il bersaglio, chiede l’autorizzazione al fuoco. Arriva l’"Ok". Il pilota non esita. Il missile TOW lo colpisce e complice la presenza dell’esplosivo a bordo lo disintegra completamente uccidendo tutti gli occupanti.
Intorno a pasta i combattimenti continuano senza sosta.
Dal porto vecchio si forma una colonna di mezzi per raggiungere nuovamente pasta: un VCC-1 del Battaglione Carabinieri Paracadutisti TUSCANIA, uno del 186° Reggimento con a bordo Il pilota, il Paracadutista Polifrone ed il Sottotenente Paglia e una blindo CENTAURO dell’8° Reggimento Lancieri di Montebello. Superano ferro e si lanciano a tutta velocità sulla via Imperiale.
Alcuni ostacoli si parano loro davanti, ancora spari e i mezzi italiani sfondano di slancio la barriera. Il Sottotenente Andrea Millevoi è il capo equipaggio della CENTAURO, coordina l’azione, sporge il busto fuori dalla torretta per meglio controllare la situazione. Viene colpito da una raffica e muore sul colpo.
Sono le 11 e 30 ed è la terza vittima del 2 luglio. Quasi contemporaneamente viene colpito anche il Sottotenente Paglia.
Five minutes killing zone
ll blindado dei Tuscania si è già sganciato sulla via imperiale così che il VCC di Polifrone e la blindo Centauro arrivano da soli a pasta con un ufficiale caduto (Millevoi) ed uno ferito gravemente (Paglia). Il Capitano Riccò non crede ai suoi occhi: aveva chiesto a Paglia di rimanere al porto vecchio, mentre lo ritrova in fin di vita adagiato nel mezzo. Da ordine di caricare gli ulteriori feriti sui blindati ed incarica un suo sottotenente di dirigersi nuovamente al porto vecchio e di non tornare più nella zona dei combattimenti. Questa volta l'ordine è più perentorio e così sarà.
Gli italiani, comunque, progressivamente si disimpegnano. Gli incursori hanno realizzato una cornice di sicurezza, ma è tutto molto precario. I miliziani ricevono nuovi rinforzi e i mezzi italiani ripiegano su ordine del Comando ma da alcune postazioni gli uomini di Aidid minacciano la colonna.
Dal comando continuano a non permettere l’utilizzo dell’artiglieria pesante.
La risposta però, arriva dal cielo: due elicotteri Cobra del contingente statunitense sorvolano pasta. Via radio si ascolta "Five minutes killing zone".
CInque minuti e tutto quello che è presente nel raggio d'azione dei cobra è un bersaglio da abbattere.
Gli italiani, alcuni veramente convinti che mai sarebbero usciti da quella situazione, alzano la testa e notano i Cobra in hovering (stazionamento) davanti al pastificio.
Qualche minuto poi fuoco a volontà. Il vecchio pastificio viene investito da missili e proiettili da 20mm. E' il momento di lasciare pasta.
Viene formata una colonna, direzione sud, porto vecchio, attraverso la via imperiale, dove ancora impervia la battaglia. I mezzi blindati la superano di slancio, mentre il Capitano Riccò, insieme al Sergente Maggiore Bozzini, dovranno combattere l'ennesima battaglia nella battaglia prima di arrivare al porto vecchio con la Fiat AR76 mal concia. Tutta la storia sull'incredibile 2 luglio 1993 del Capitano Paolo Riccò e i suoi diavoli nel libro a questo link.
Sono circa le 13.00 e gli italiani abbandonano la zona e i posti di blocco pasta e ferro. Tenerli in quelle condizioni vorrebbe dire scatenare una battaglia campale con i somali. Il bilancio è tragico, con tre caduti italiani e ventitre feriti.
Ma Aidid non può cantare vittoria. Ha pagato a caro prezzo alle truppe dell’UNOSOM, con 187 caduti e più di 400 feriti nello scontro, a riprova che l’azione dei militari italiani, pur se fortemente limitata, è stata efficace.
Dal 2 luglio in poi, a Mogadiscio nulla sarà come prima.