La Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza (in inglese: International Security Assistance Force, abbreviato: ISAF) è stata una missione della NATO, autorizzata dall'ONU, di supporto al governo dell'Afghanistan nella guerra contro i Talebani e al-Qaida dopo il rovesciamento dell'Emirato islamico dell'Afghanistan.
Era composta da una forza internazionale che impiegava circa 58.300 militari provenienti da una quarantina di nazioni. È stata costituita su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2001 con il compito di sorvegliare la capitale Kabul e la vicina base aerea di Bagram da Talebani, elementi di al-Qāʿida ed eserciti mercenari, e in particolar modo proteggere il governo transitorio guidato da Hamid Karzai.
Durante i primi due anni l'ISAF non operò oltre i confini della città di Kabul. L'incarico della sicurezza nel resto del territorio nazionale fu affidato al neocostituito Esercito Nazionale Afghano. Comunque il 13 ottobre 2003, il Consiglio di Sicurezza votò per estendere il mandato dell'ISAF anche al resto dell'Afghanistan. In seguito il Primo Ministro canadese Jean Chrétien disse che le truppe canadesi (quasi la metà dell'intera forza) non sarebbero state impiegate al di fuori di Kabul. Il 24 ottobre il Bundestag approvò l'impiego delle truppe tedesche nella regione di Kunduz. Circa 230 soldati furono inviati nella regione, i primi dell'ISAF ad essere impiegati al di fuori di Kabul.
Il 28 dicembre 2014, dopo 13 anni di attività, termina la missione ISAF ed inizia la missione Sostegno Risoluto (Resolute Support Mission) in ambito NATO.
Le cause scatenanti
A partire dal maggio 1996, Osama bin Laden ed altri membri di al-Qāʿida si stabilirono in Afghanistan e strinsero rapporti di dialogo e collaborazione con il regime talebano del paese, all'interno del quale furono creati diversi campi di addestramento terroristici.
In seguito agli attentati alle ambasciate statunitensi in Africa del 1998, gli USA lanciarono da alcuni sottomarini un attacco missilistico diretto a questi campi di addestramento, ma gli effetti di tale rappresaglia furono limitati.
Tra il 1999 e il 2000, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò due risoluzioni che stabilivano sanzioni economiche e armamenti all'Afghanistan per incoraggiare i Talebani a chiudere i campi di addestramento e a consegnare Bin Laden alle autorità internazionali per rispondere degli attentati del 1998. Gli attentati dell'11 settembre 2001 sancirono un inasprimento dei rapporti fra Stati Uniti e governo talebano. Nonostante inizialmente Osama Bin Laden avesse negato qualsiasi coinvolgimento, la "tesi fondamentalista" non fu mai messa in discussione, venne fatta propria dalla stampa ed avvalorata con successivi rapporti in sede di commissione congressuale.
Il 20 settembre 2001, il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush lanciò un ultimatum ai Talebani, in cui fece le seguenti richieste:
- consegnare tutti i leader di al-Qāʿida presenti in Afghanistan agli Stati Uniti;
- liberare tutti i prigionieri di nazioni straniere, inclusi i cittadini statunitensi;
- proteggere i giornalisti stranieri, i diplomatici e i volontari presenti in Afghanistan;
- chiudere i campi d'addestramento terroristici in Afghanistan e consegnare ciascun terrorista alle autorità competenti;
- garantire libero accesso agli Stati Uniti ai campi d'addestramento per poter verificare la loro chiusura.
I Talebani non risposero direttamente a Bush, ritenendo che iniziare un dialogo con un leader politico non musulmano sarebbe stato un insulto per l'Islam. Dunque, per mediazione della loro ambasciata in Pakistan, dichiararono di respingere l'ultimatum in quanto non vi era alcuna prova che legasse Bin Laden agli attentati dell'11 settembre. Il 22 settembre 2001 gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita decisero di non riconoscere il governo talebano in Afghanistan. Solo il Pakistan continuava a mantenere contatti diplomatici con il paese. Che il 4 ottobre 2001 avessero proposto in segreto al Pakistan la consegna di Bin Laden, e ne avessero proposto il processo in un tribunale internazionale, sottoposto però alle leggi della Shari'a. Si suppone che il Pakistan abbia rifiutato l'offerta. Verso metà ottobre del 2001, i membri moderati del regime talebano incontrarono gli ambasciatori statunitensi in Afganistan per trovare un modo di convincere il Mullah Omar a consegnare Bin Laden agli Stati Uniti. Bush bollò le offerte dei Talebani come "false" e le rifiutò. Il 7 ottobre, poco prima dell'inizio dell'invasione, i Talebani si dichiararono pubblicamente disposti a processare Bin Laden in Afghanistan, ma attraverso un tribunale "islamico". Gli USA rifiutarono anche questa offerta, giudicandola insufficiente.
Solo il 14 ottobre 2001, una settimana dopo lo scoppio della guerra i Talebani erano disponibili a consegnare Bin Laden ad un paese terzo, per un processo, ma solo se fossero state fornite prove del suo coinvolgimento dell'11 settembre 2001.
L'atteggiamento della dirigenza statunitense di fronte alla prospettiva di una guerra, decisamente più "interventista" rispetto ad altre situazioni, così come la velocità del dispiegamento militare e l'immediato accordo raggiunto coi ribelli dell'Alleanza del Nord lasciavano supporre che gli USA avessero pianificato l'invasione dell'Afghanistan ben prima dell'11 settembre. È pur vero però che nessuna nazione nemica degli Stati Uniti era mai riuscita a portare a termine un attacco aereo di queste proporzioni sul suolo statunitense dall'attacco a Pearl Harbor e che l'opinione pubblica statunitense, colpita simbolicamente con un attacco nel cuore del suo paese, chiedeva una risposta militare.
Il 18 settembre 2001 Niaz Naik, ex-Ministro degli esteri pakistano, dichiarò che a metà luglio dello stesso anno venne informato da alcuni ufficiali superiori statunitensi che un'azione militare contro l'Afghanistan sarebbe iniziata nell'ottobre seguente. Naik dichiarò anche che, sulla base di quanto detto dagli ufficiali, gli Stati Uniti non avrebbero rinunciato al loro piano neppure nell'eventualità di una consegna immediata di Bin Laden da parte dei Talebani. Naik affermò anche che sia l'Uzbekistan sia la Russia avrebbero partecipato all'attacco, anche se in seguito ciò non si è verificato.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò due risoluzioni in merito all'attentato terroristico. La risoluzione n. 1368/2001, approvata all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001, qualificava il terrorismo come "minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale" (ex art. 39). Qualche giorno dopo, in una nuova seduta, il CdS approvava la risoluzione n. 1374/2001 con la quale rinnovava la condanna del terrorismo ed istituiva un Comitato ONU (il cosiddetto comitato CAT) che aveva lo scopo di imporre agli Stati misure atte a contrastare ogni forma di finanziamento al terrorismo.
Comando
Il comando dell'ISAF inizialmente era a rotazione semestrale fra le diverse nazioni partecipanti ma, a causa di seri problemi incontrati con questa modalità di gestione, l'11 agosto 2003 fu affidato a tempo indeterminato alle forze NATO. Questo fu il primo incarico fuori dall'Europa e dall'America del Nord. La NATO partecipò anche ai "Provincial Reconstruction Teams", cioè piccoli gruppi di circa 100 militari e operatori umanitari coinvolti in operazioni di ricostruzione nelle varie province afghane; l'Esercito Italiano era dislocato nella provincia di Herat.
Lista dei comandanti dell'ISAF (COMISAF):
- 22 dicembre 2001: Generale John McColl, Regno Unito.
- 18 giugno 2002: Generale Hilmi Akin Zorlu, Turchia.
- 10 febbraio 2003: Generale Norbert Van Heyst, per la Germania e i Paesi Bassi. Il suo vice era il Generale di Brigata olandese Bertholee.
- 11 agosto 2003: l'ISAF viene posta sotto il comando della NATO, con il generale tedesco Götz Gliemeroth come comandante, e il generale canadese Andrew Leslie come vice.
- 9 febbraio 2004: Generale Rick Hillier, Canada, con il generale tedesco Werner Korte come suo vice.
- 7 agosto 2004: Generale Jean-Louis Py, comandante degli Eurocorps, una forza multinazionale composta da unità provenienti da Francia, Germania, Spagna, Belgio e Lussemburgo.
- 13 febbraio 2005: Generale Ethem Erdagi, Turchia.
- 5 agosto 2005: Generale Mauro Del Vecchio, Italia. Nel 2005 l'Italia comanda 5 missioni multinazionali: in Afghanistan, in Bosnia ed Erzegovina, in Kosovo, in Albania e nella Striscia di Gaza (EUBAM).
- 4 maggio 2006: Tenente Generale David Richards, Regno Unito
- 4 febbraio 2007: Il Generale Dan K. McNeill assume il comando sia delle forze statunitensi, sia quelle NATO.
- 2 giugno 2008: Il Generale statunitense David D. McKiernan assume il comando delle forze NATO.
- 20 maggio 2009: Il Generale statunitense Stanley A. McChrystal assume il comando delle forze NATO.
- 23 giugno 2010: Il Generale statunitense David Petraeus assume il comando delle forze NATO.
- 18 luglio 2011: Il Generale dei Marines, lo statunitense John R. Allen, assume il comando delle forze Nato.
- 10 febbraio 2013: Il Generale dei Marines, lo statunitense Joseph F. Dunford Jr., assume il comando della forze Nato.
- 24 agosto 2015 - 28 dicembre 2016 4: tenente Colonnello Nato. M. Stancato assume il comando delle forze Nato. È stato l'ultimo comandante della missione.
Italia
L’Italia ha fornito, sin dall 11 agosto 2003, un contributo alla Missione ISAF, detenendone anche il Comando tra il 2005 e il 2006.
Gli italiani, in due occasioni (2006 e 2008), sono stati i Comandanti della Regione di Kabul, e l'Italia contribuisce alla Missione ISAF con circa 4.200 unità sul campo, risultando il quinto fornitore di truppe. Il contributo italiano è suddiviso tra Kabul e la regione occidentale (RC-West), soprattutto nelle Province di Herat e Farah (provincia).
I bombardieri Panavia Tornado dell'Aeronautica Militare, impiegati dalla base tedesca di Mazar-i Sharif, nel nord dell’Afghanistan, sono stati poi avvicendati a novembre 2009 dagli aerei da attacco al suolo AMX International AMX, che hanno iniziato ad operare dalla Forward Support Base (FSB) di Herat, sulla cui pista dell’aeroporto sono stati effettuati dei lavori di adeguamento.
L'Italia ha inoltre schierato, dal 2006, un'importante componente di forze speciali nell'ambito dell'operazione "Sarissa", la Task Force 45.
ISAF termina il 26 dicembre 2014. Al suo posto Resolute Support fino al 29 giugno 2021.
Assetti ISAF Esercito Italiano del RC-West
Migliaia sono stati i soldati Italiani impiegati nella missione ISAF in afghanistan.
In linea di massima, negli 11 anni di operazioni la struttura ha avuto i seguenti assetti:
- Forze di manovra costituite a rotazione dai vari reggimenti di fanteria e fanteria meccanizzata dell'Esercito Italiano schierate nelle province di Herat e Farah.
- Provincial Reconstruction Team (PRT) fino al 25 marzo 2014. Dal 26 marzo PRT-CIMIC Detachment
- ITALFOR, componente nazionale interforze incaricata degli aspetti gestionali e ligistici
- IMC (Infrastructure Management Center)
- JMOU (Joint Multimodal Operation Unit)
- RSOM (Reception Staging Onward Movement) interforze
- Task Force Fenice su base (Aviazione Esercito) con elicotteri CH 47 "Chinook" e NH90 per trasporto personale e rifornimenti, ed A129 C "Mangusta" con compiti di esplorazione e scorta in supporto di fuoco alle forze terrestri
- Military Advisory Team (MAT) incaricato della formazione ed assistenza degli ufficiali dell'Esercito Afgano
- Task Force Genio specializzata nella gestione della minaccia di ordigni esplosivi
- Joint Task Force C4 (JTFC4) incaricata nelle comunicazioni a tutte le unità italiane operanti nella regione ovest dell'Afghanistan
- Due assetti sanitari, ROLE 1 a guida italiana (pronto soccorso e infermeria) e ROLE 2 a guida spagnola (ospedale polispecialistico)
Joint Air Task Force (JATF)
Nell’ambito del Regional Command-West (RC-W) e dall’Air Component Element di ISAF a Kabul il 1º giugno 2007 è stata costituita la Joint Air Task Force (JATF), componente aerea nazionale della presenza italiana ad Herat. La Task Force è coinvolta negli aspetti di coordinamento di quegli assetti che sono sotto il Controllo Operativo diretto della NATO. Altri assetti, quali i velivoli da trasporto C-27J e C-130 Hercules-J, i bombardieri tattici AMX (precedentemente sono stati impiegati i Tornado IDS) e gli UAV (od Aeromobile a pilotaggio remoto) stessi, ricevono invece "ordini operativi" per l’impiego direttamente dal Comandante della Componente Aerea NATO, poiché operano su larga scala su tutto il territorio afghano.
Gli aeromobili dell'A.M. sono presenti nei Task Group:
- "Devil": con i Tornado del 6º Stormo (fino a tutto il 2009) dotati di capacità di ricognizione aerea, per incrementare la sorveglianza aerea del territorio afghano e garantire così una maggiore sicurezza e protezione del contingente NATO e della popolazione civile;
- "Black Cats": con gli AMX del 51º Stormo che hanno sostituito i Tornado e che sono rientrati in Italia a giugno 2014;
- "Albatros": con C-130J da trasporto ed EC-27J JEDI da guerra elettronica della 46ª Brigata aerea, rientrati in patria rispettivamente nei primi mesi del 2015 e dicembre 2014;
- "Tigre": con gli elicotteri AB-212 ICO (Implementazione Capacità Operative) del 9º Stormo, impiegati da giugno 2009 ad aprile 2010;
- "Astore": con gli RQ-1 Predator del 32º Stormo, il cui ultimo volo operativo in terra afghana è avvenuto il 1º dicembre 2014.
Perdite
In totale 53 soldati italiani sono morti in Afghanistan: 31 uccisi in azioni ostili (di cui uno deceduto una settimana dopo essere stato ferito durante il raid in cui è stato salvato dopo la sua cattura), dieci in incidenti stradali, due di infarto, uno per un colpo partito accidentalmente durante il caricamento della propria arma, uno di malattia. I feriti sono stati 651. Complessivamente, il conflitto ha ucciso circa 176.000 persone, inclusi 46.319 civili.