Il caso del Somalia-gate del 1997, che vide coinvolta la Brigata Paracadutisti Folgore, si rivelò un clamoroso esempio di disinformazione basata su false accuse. L'episodio iniziò quando il settimanale "Panorama" pubblicò un articolo basato su presunte testimonianze di violenze commesse da militari italiani nei confronti di civili somali. Le accuse si concentravano su fatti di estrema gravità, tra cui abusi e violenze, che avrebbero coinvolto membri della Folgore durante la missione in Somalia.
La vicenda prese una svolta inaspettata quando emerse che le notizie pubblicate erano completamente infondate. Il fulcro delle accuse si basava sul racconto di Benedetto Bertini, un ex militare che confessò di aver inventato tutto per motivi personali. Bertini, un giovane disoccupato con problemi di tossicodipendenza, cercò di trarre vantaggio economico dalla vendita di false informazioni e foto inesistenti al giornale, sperando di ottenere fino a sette milioni di lire.
Il tentativo di Bertini di inscenare un furto delle inesistenti foto "scoop" e il suo successivo ricovero in ospedale per ferite auto-inflitte furono il culmine di una serie di azioni mirate a sostenere la sua storia.
Tuttavia, gli investigatori della polizia di Palermo, grazie alla collaborazione dei militari della Folgore e alle incongruenze emerse durante l'interrogatorio di Bertini, riuscirono a smascherare la verità.
La vicenda del Somalia-gate servì da monito sull'importanza della verifica delle fonti e sulle pericolose conseguenze che notizie false e accuse infondate possano avere sulla reputazione di persone e istituzioni.
In conclusione, il caso si risolse rivelando l'assoluta innocenza dei militari della "Folgore" coinvolti e lasciando dietro di sé interrogativi sulle dinamiche mediatiche e sulla facilità con cui false narrazioni possono essere costruite e diffondersi, con ripercussioni significative sulla vita delle persone coinvolte.
Il quotidiano l'Unità, non proprio amico della Folgore, il 27 giugno 1997 aprirà con:
Tanto tuonò che piovve. Era una montatura bella e buona, e - obbiettivamente - neanche delle più sofisticate. Salta fuori il parà mitomane e visionario, assetato di danaro e con problemi di tossicodipendenza, pronto a inventarsi una ricostruzione di comodo dei fatti di Somalia pur di avere in cambio sette milioni, talmente «sbiellato» da essere convinto che la gallina gli avrebbe regalato tante altre uova d’oro. Un piano ben congegnato, il suo, che è scivolato però sulla buccia di banana di un lungo interrogatorio alla mobile di Palermo dove - per scuola e tradizione - normalmente sanno distinguere fra ciarlatani e gente che non ha tempo da perdere.
Che persona di m…