La storia del paracadutistimo militare italiano, anzi, mondiale, nacque ben vent'anni prima dall'istituzione della prima grande unità aviotrasportata.
Il Tenente Alessandro Tandura, ardito del 10° Reggimento Arditi (attuale 9° Reggimento d'Assalto Col Moschin), nella notte tra l'8 e il 9 agosto 1918, con un paracadute inglese Cathrop (utilizzato solitamente dai piloti di aerei in avaria), si lancerà nella zona di Vittorio Veneto, da un aereo Savoia-Pomilio SP.4 del Gruppo speciale Aviazione I e pilotato dal Maggiore William George Barker, canadese, e dal Capitano e deputato alla Camera dei comuni William Wedgwood Benn, britannico (entrambi piloti della Royal Air Force). Un'azione di intelligence vera e propria: un'incursione dietro le linee per osservare (in realtà nei territori italiani occupati dagli austro-ungarico) il nemico e riferire al Comando Militare Italiano la displocazione di uomini e mezzi.
Tandura forse non lo sa, ma è nella storia: E' IL PRIMO PARACADUTISTA AL MONDO IN AZIONE DI GUERRA DELLA STORIA. A pochi giorni di distanza venne eseguito anche il secondo, effettuato dal Tenente Pier Arrigo Barnaba, sempre degli Arditi. Entrambi provenivano dagli Alpini, per cui conservavano le caratteristiche mostrine verdi le cosiddette "Fiamme Verdi".
I Fanti dell'Aria Libici
Precursori dei reparti di paracadutisti nazionali furono i “Fanti dell’aria Libici”, voluti con lungimirante determinazione da Italo Balbo, Governatore Generale della Libia. Superando difficoltà di ogni genere, Balbo riusci a far nascere il 22 marzo 1938 una scuola di paracadutismo all’Aeroporto di Castel Benito, presso Tripoli.
L’idea era di creare un battaglione di “Fanti dell’aria” libici inquadrati da ufficiali e sottufficiali nazionali Italiani affidandone il comando ad uno dei più valorosi ed esperti ufficiali coloniali, il Tenente Colonnello Medaglia d’Oro al Valor Militare Goffredo Tonini.
Si lavorava su un terreno vergine, bisognava continuamente inventare, l’addestramento era molto difficile ed oltretutto la diffidenza innata delle truppe di colore per l’aereo non era ostacolo che si potesse superare con facilità.
Il Tenente pilota Prospero Freri andò in Libia e si diede ad addestrare nell’uso del paracadute “Salvator” D/37, da lui inventato, gli ufficiali che avrebbero dovuto diventare a loro volta istruttori degli indigeni. Tutto fu fatto rapidamente e gli Ascari, una volta presa confidenza con gli aerei e con i lanci, divennero eccellenti atleti.
Purtroppo le prime prove vennero compiute con apparecchi S/81 piuttosto inadatti. Ci furono 15 morti e 72 feriti.
La Regia Scuola Paracadutisti dell'Aeronautica a Tarquinia
Con il foglio di disposizioni n. 12 del 28 settembre 1939, venne costituita in seno alla Regia Aeronautica presso l’aeroporto “Amerigo Sostegni” di Tarquinia (VT), a far data dal 15 ottobre 1939, la Regia Scuola di Paracadutismo militare, il cui compito era quello di addestrare i futuri paracadutisti delle Forze Armate italiane sul suolo nazionale, facendo leva sulle esperienze maturate in seno al Campo Scuola paracadutisti libici creato a Castel Benito (LIBIA) nel 1938. Nel volgere di pochi mesi, le attività sempre più intense all’interno della Regia Scuola di Paracadutismo, condussero alla creazione di un corpo istruttori formato da una cinquantina di ufficiali e sottufficiali.
Il 23 maggio del 1940 si costituiva a Barce il primo battaglione di paracadutisti nazionali al comando del Maggiore Arturo Calascibetta. I battaglioni di paracadutisti “libici” e “nazionali”, riuniti con altre unità, costituirono il “gruppo mobile Tonini” con il compito di rallentare le prime avanzate delle truppe britanniche .
Questa volta però si pose maggior cura alla parte più spiccatamente tecnica. Vennero impiegati gli SM/75, opportunamente modificati, mentre il paracadute “Salvator” D/37 fu sostituito dal I/40 che aveva una calotta di maggiori dimensioni e consentiva quindi una velocità di discesa leggermente inferiore. Si stava così procedendo nell’addestramento, quando scoppiò il secondo conflitto mondiale.
Le prime unità ad essere costituite a Tarquinia (luglio 1940) furono il I e II Battaglione paracadutisti ed il III Battaglione Carabinieri paracadutisti (successivamente rinominati rispettivamente II, III e I). Nella primavera del 1941 si aggiunse il IV Battaglione paracadutisti, che con il II e III battaglione e la 1ª Compagnia cannoni controcarro andò a formare il 1º Reggimento Paracadutisti.
Elementi del II Battaglione effettuarono il 30 aprile 1941 un aviolancio sull'isola greca di Cefalonia, senza incontrare opposizione. Nel corso del 1941 vennero formati anche il 2º Reggimento (V, VI e VII Battaglione, 2ª Compagnia cannoni) ed il 3º Reggimento (IX, X ed XI Battaglione, 3ª Compagnia cannoni). L'VIII Battaglione venne invece riaddestrato presso la Scuola Guastatori del Genio. Le Compagnie cannoni reggimentali vennero quindi utilizzate come base per la costituzione del I, II e III Gruppo artiglieria paracadutisti, successivamente raggruppate nel Reggimento artiglieria paracadutisti.
Da questi elementi il 1º settembre 1941 venne formata la 1ª Divisione Paracadutisti al comando del generale di brigata Francesco Sapienza e quindi, dal 1 marzo 1942, dal generale di Brigata Enrico Frattini, ufficiale del genio, già addetto al capo di SMRE generale d'armata Mario Roatta.
L’uomo di Tarquinia era il Colonnello pilota paracadutista Giuseppe Baudoin de Gillette, che divenne un pò il padre spirituale di tutti i paracadutisti italiani.
A Tarquinia, che negli anni sarebbe diventata il simbolo dei Paracadutisti Italiani, accorsero giovani da ogni specialità delle Forze Armate, sicché la selezione poté essere rigorosissima: il 60% dei volontari venne scartato, ma coloro che rimasero erano veramente ragazzi di prim’ordine. Le difficoltà, come al solito, furono enormi; a Tarquinia c’erano solo un campo d’aviazione, alcune baracche e nient’altro.
Baudoin aveva però attorno a sé un valente gruppo di istruttori. Sorsero come per incanto baraccamenti, tende giganti, mentre dalla Piazza d’Armi di Villa Glori a Roma fu fatta sparire una torre metallica di addestramento alta oltre 50 metri, che venne rimontata alla chetichella sul campo di Tarquinia.
I primi reparti di Paracadutisti Italiani dunque, eccezion fatta per i due battaglioni costituiti in Libia, furono formati presso la Scuola di Tarquinia. Nell’ambito di questa scuola, nel 1940, numerosi volontari provenienti da ogni tipo di Arma, Corpo e Specialità del Regio Esercito, diedero vita al Il battaglione (comandato dal Tenente Colonnello Benzi). Agli inizi dei 1941 sorse il III battaglione (Maggiore Pignatelli di Cerchiara), seguito poco dopo dal IV battaglione (Maggiore Bechi Luserna).
Nello stesso mese, venendosi a concludere la lunga e sanguinosa campagna di Grecia, i paracadutisti furono chiamati a conquistare l’isola di Cefalonia. Incaricato dell’operazione fu il Il° Battaglione, che trasferì a Lecce due delle sue compagnie, al comando dei Maggiore Zanninovich. Il 30 aprile, dall’aeroporto di Galatina, decollarono alcuni SM-82: il lancio avvenne nella piana di Argostoli e l’azione riuscì senza che fosse sparato un solo colpo. Disarmato il presidio locale, composto da alcune centinaia di gendarmi greci, il gìorno successivo aliquote di paracadutisti, requisiti alcuni pescherecci, sbarcarono nelle isole di Zante e Itaca, evitando che le medesime cadessero sotto il controllo tedesco.
Il 5 maggio gli uomini del II battaglione vennero ritirati e sostituiti. Il primo lancio di guerra, per i nostri paracadutisti, si era concluso con un pieno successo. Continuava intanto l’addestramento e la costituzione di nuovi battaglioni, sempre identificati da una numerazione progressiva; tra l’estate 1941 e la primavera 1942 ne furono costituiti sette, tra i quali uno di guastatori-paracadutisti, mentre il 10 agosto 1941 fu formato un gruppo di artiglieria: ora i tempi si dimostravano maturi per poter costituire una Grande Unità.
Questa fu ufficialmente costituita il 1 settembre 1941, riunendo il 1° ed il 2° reggimento paracadutisti (V, VI e VII btg.), I’VIII battaglione guastatori-paracadutisti ed il gruppo artiglieria per divisione paracadutisti, che nel gennaio 1942 fu ampliato a reggimento su due gruppi.
Ovviamente non tutte le unità furono immediatamente disponibili ed operative, ma lo divennero man mano che procedevano le fasi di addestramento.
Nel marzo successivo si aggiunse un 3° reggimento paracadutisti (IX-X e XI btg.), mentre entro giugno il reggimento artiglieria ricevette un terzo gruppo. La Divisione paracadutisti, così costituita, si discostava dalle altre unità di questo livello per il fatto di essere organicamente più leggera, dotata di servizi ridotti e non gravata da pesanti strutture logistiche. Anche il reggimento di artiglieria era dotato unicamente di pezzi da 47/32, destinati a compiti anticarro (ed anche questi con limiti ben precisi) ma inadatto a fornire un normale supporto di fuoco. Pochi i mortai e le armi da accompagnamento, con l’unico vantaggio che l’armamento individuale prevedeva il mitra Beretta.
Daltronde tale armamento ben si configurava nell’ambito dell’ azione tipo che l’unità era chiamata, almeno istituzionalmente, a compiere: l’aviolancio con azione a sorpresa su un obiettivo e la successiva costituzione di una testa di ponte da difendere per un lasso di tempo limitato, sino ad essere rilevata da forze convenzionali.
Belle teorie, quelle esposte, che alla futura “Folgore” furono però negate dagli eventi bellici. La Divisione paracadutisti, questo era il nome ufficiale della nuova Grande Unità, fu posta al comando dei Generale Francesco Sapienza, sostituito quasi subito dal Generale Enrico Frattini. L’addestramento iniziale fu svolto sino al maggio 1942 in Toscana e nel Lazio, poi vi fu il trasferimento nelle Puglie tra Ceglie Messapica, Ostuni e Villa Castelli, ove fu sottoposta ad un duro addestramento in vista della progettata invasione di Malta (Operazione C3).
L’eccessiva fiducia riposta nei successi di Rommel e la caduta di Tobruck, privilegiarono invece le operazioni da condurre verso l’Egitto e pertanto la fondamentale azione su Malta, per la quale i paracadutisti tanto si erano ìmpegnati, venne abbandonata, negando così alla Divisione il diritto di essere impiegata nella sua totalità in un lancio di guerra.
L’esultanza, quando nel luglio 1942 venne deciso il suo impiego in Africa Settentrionale, fu di breve durata, in quanto ben presto i paracadutisti si resero conto che difficilmente sarebbero stati impiegati in aviolanci, ma visto che le dotazioni di lancìo vennero mantenute, rimase ancora qualche flebile speranza.
La 185ª Divisione Paracadutisti "Folgore"
Nel luglio 1942 la divisione venne invece trasferita in Africa Settentrionale sotto il nome di copertura di 185ª Divisione "Cacciatori d'Africa", onde non svelare al nemico la reale appartenenza alle truppe paracadutiste, al comando del Generale Enrico Frattini. Contemporaneamente i battaglioni divennero da due a tre per Reggimento, reggimenti che cambiarono anche denominazione: prima della partenza dei tre Reggimenti di fanteria partirono solo il 186º e 187º, mentre il 185º reggimento, e rimase in Italia per formare il nucleo della 184ª Divisione paracadutisti "Nembo". Il Reggimento artiglieria assunse il numero 185º.
Contemporaneamente la Divisione subì anche un riordinamento organico divenendo, il 28 luglio, 185° Divisione paracadutisti ed assumendo il nome di “Folgore”, derivato dal motto latino “Ex Alto Fulgor” coniato per il suo 1° reggimento e scelto dall'allora Maggiore Alberto Bechi Luserna su suggerimento involontario di Don Augusto Moglioni, che in una sua lettera concludeva firmandosi con questa formula di saluto.
Il riordinamento coinvolse anche i suoi reggimenti, che assunsero la nuova numerazione di 185°, 186° e 187°, mentre il reggimento di artiglieria e le aliquote delle specialità furono contraddistinte sempre dal numero 185.
Le novità non erano però ancora terminate in quanto, essendo stata decisa la formazione di una nuova Divisione paracadutisti, il 185° reggimento fu trattenuto in Italia, quale nucleo costitutivo della nuova unità, inquadrando il III battaglione e cedendo gli altri due (IV e V) al 187° reggimento.
Da questo momento, quindi, la “Folgore” assunse la struttura binaria ed iniziò il suo trasferimento in Africa Settentrionale alla spicciolata, in parte per via aerea dai campi di volo del leccese, in parte dopo un lungo e tortuoso viaggio attraverso i Balcani, da Atene, sempre per via aerea.
La prima unità ad arrivare sul suolo africano fu il IV/187° dei Tenente Colonnello Bechi Luserna che giunse a Fuka il 18 Luglio, subito seguìto dagli altri reparti divisionali. Concentrati a El Daba, i paracadutisti, per ragioni di segretezza, dovettero rinunziare a portare il brevetto e tutto quanto di altro poteva denunciare la loro specializzazione. Si trattò di un grande sacrificio, acuito dal fatto che anche la Divisione, per i medesimi motivi, dovette adottare il nome di “Cacciatori d’Africa”, e che giunse, perentorio, l’ordine di consegnare tutto il materiale di lancio, che doveva essere rimandato a Derna per l’immagazzinamento: l’ultima speranza di poter effettuare un lancio di guerra venne così a cadere.
La “Folgore” viene quindi spedita a fare la guerra di trincea nell’inferno di El Qattara ad El Alamein dove esce invitta ma decimata e vien sciolta, come divisione, a fine 1942.
Dalla scuola di Tarquinia, che nel gennaio del ’43 fu trasferita a Viterbo, uscirono i paracadutisti delle Divisioni “Folgore” e “Nembo”, quelli del battaglione Carabinieri, del battaglione San Marco, della Marina, del X Arditi e battaglioni 1° e ADRA (Arditi Distruttori Regia Aereonautica).
La Divisione “Nembo”, superata la crisi conseguente all’armistizio, l’8 settembre 1943, fu protagonista della guerra di Liberazione.
Il 285° Battaglione Paracadutisti "Folgore"
Con alcuni sopravvissuti e rimpiazzi in Libia venne costituito il CLXXXV Battaglione Paracadutisti "Folgore", comandato dal Capitano Lombardini, articolato su cinque compagnie e inquadrato nel 66º Reggimento fanteria della Divisione "Trieste" del XX Corpo d'armata prendendo parte dalla campagna di Tunisia.
Il 285° si schierò a Buerat a difesa della Via Balbia e dopo altri arretramenti il battaglione ricevette l’ordine, il 22 gennaio 1943, di schierarsi a sud dell’aeroporto di Castelbenito. Resiste ad oltranza insieme ad un battaglione di paracadutisti tedeschi per permettere alle divisioni italiane e tedesche di ripiegare lungo la litoranea. Il giorno successivo, il 23 gennaio, viene ordinato lo sgombero della capitale Tripoli e di unirsi con i nuovi reparti giunti in nord Africa per l’estrema difesa in Tunisia.
Sostiene una serie di aspri combattimenti a Medenine, Gabès sull'Akarit e in difesa della linea del Mareth in Tunisia tra il 6 e il 7 aprile del 1943, e anche in tale occasione diede un'eccellente prova, cultimanata con l'epica battaglia di Takrouna il 20 aprile 1943, ove riecheggia, nuovamentem il grido "FOLGORE!!!".
Dopo giorni di violentissimi combattimenti contro un'intera brigata neozalandese (circa 4.000 uomini contro 180) si immola quasi completamente pur di non lasciare le posizioni. Ai circa 50 sopravvissuti i britannici concederanno, nuovamente, l'onore delle armi come già successo ad El Alamein.
Sarà l’ultimo combattimento degli EROICI PARACADUTISTI D'ITALIA IN TERRA D'AFRICA.
La rinascita
Lenta e costellata da innumerevoli difficoltà fu la ricostruzione della Specialità paracadutisti nel secondo dopoguerra.
Le clausole del Trattato di Pace erano drasticamente limitative riguardo le Forze Armate Italiane e non tenevano in nessun conto il fatto che queste ultime, dall’ Ottobre 1943 all’ Aprile 1945, avevano operato a fianco degli Alleati.
Tra le altre imposizioni dettate, vi era il divieto di costituire ed addestrare unità di paracadutisti, proprio alla luce dell’ importanza che la nascente specialità aveva dimostrato nel corso del conflitto mondiale.
Nel 1946 fu attuato un Centro di Esperienze per il Paracadutismo Militare, formato a Roma grazie al Capitano Leonida Turrini, insiame ad altri ufficiali e sottufficiali istruttori già appartenenti al reggimento “Nembo”, che furono in grado di procedere con l’addestramento, utilizzando vecchi materiali di lancio ed aerei SM-82 sfuggiti alla demolizione, grazie alla cessione al Sovrano Militare Ordine di Malta, con le cui insegne volavano. Così fu possibile far riprendere i cicli addestrativi di lancio ad ex militari ed anche ad un certo numero di civili.
Nel gennaio 1947 vennero riuniti presso il Centro Militare di Paracadutismo (C.M.P.) di Roma, comandato dal Tenente Colonnello Giuseppe Izzo.
L’anno seguente, grazie alla costituzione di una unità sperimentale a livello di compagnia, che iniquadrava anche personale di leva, il Centro lasciò la sede romana per portarsi il 13 marzo a Viterbo, ove già nel periodo bellico era esistita la Scuola paracadutisti militari, affiancata nel 1942 a quella di Tarquinia.
Nel contempo, mutata la situazione internazionale ed apertosi il periodo della “guerrafredda” tra le potenze occidentali ed i paesi del blocco sovietico, vennero ad attenuarsi le pesanti limitazioni imposte dal Trattato di Pace, mentre l’ingresso dell’ Italia nell’ ambito della NATO, ne sanci la definitiva caduta.
L’ attività del Centro poté allora proseguire senza soste: le compagnie paracadutisti divennero due e nel 1952 diedero vita al battaglione paracadutisti, prima unita di tale livello ad essere costituita nel dopoguerra.
Vennero successivamente costituiti un reparto carabinieri paracadutisti, un reparto sabotatori e cinque plotoni alpini paracadutisti destinati ad altrettante Brigate. Contemporaneamente veniva migliorato il materiale di lancio con l’adozione del paracadute C.M.P. 53 (che finalmente prevedeva anche il paracadute ausiliario) ed il successivo C.M.P. 55 (previsto di onehsot) mentre nel campo aereo i vetusti SM-82 lasciarono il campo ai più moderni Fairchild C-119G FLYING BOXCAR (o ”vagoni volanti” nella diffusa dizione italiana) ceduti dagli Stati Uniti in conto MDAP (Mutual Defence Assistance Program). Il C.M.P. 55 sarà l'ultimo paracadute di concezione e costruzione completamente italiano.
A partire dal 1957 venne ampliato il contingente di leva destinato a ricevere il brevetto da paracadutista ed allo stesso tempo il battaglione operativo venne ampliato quanto ad organici, trasformandosi nel 1° gruppo tattico paracadutisti agli ordini del Tenente Colonnello Adolfo Giunta. A seguito di questo potenziamento fu presa la decisione di lasciare la vecchia sede di Viterbo e di trasferire tutte le unita appartenenti alle aviotruppe nelle nuove sedi di Pisa e Livorno.
A Pisa si trasferirono il Centro Militare di Patacadutismo sotto il comando del Colonnello Carlo Mautino, i reparti Carabinieri e Sabotatori, il reparto Addestramento Reclute, l’Ufficio Studi ed Esperienze e la compagnia aviorifornimenti, mentre a Livorno ebbe sede il 1° gruppo tattico paracadutisti e la costituenda 1° batteria artiglieria paracadutisti. Contemporaneamente a tutti gli effettivi di queste unità fu concessa l’autorizzazione a portare, al posto del basco “cachi” precedentemente in uso, quello “grigioverde” (già della Nembo) quale riconoscimento simbolico della Specialità che si apprestava a nuovi importanti sviluppi.
La Brigata Paracadutisti
Il 1º gennaio 1963, a seguito di un'ulteriore espansione dei reparti, venne ufficialmente attivata la Brigata Paracadutisti, su decisione del suo capo di stato maggiore dell'epoca, il Generale Giuseppe Aloia. Primo comandante della ricostituita Brigata Paracadutisti, che fu posta alla dipendenze dello Stato Maggiore dell'Esercito, fu il Generale Aldo Magri.
Il 1 gennaio 1963 quindi, si costituì a Pisa la Brigata Paracadutisti con la seguente struttura:
- Comando
- Compagnia carabinieri paracadutisti (divenuta poi battaglione)
- Battaglione sabotatori paracadutisti
- 1° reggimento paracadutisti (su due battaglioni)
- Gruppo artiglieria da campagna paracadutisti
- Sezione elicotteri (costituita soltanto nel 1966)
- Centro Addestramento Paracadutisti (CEPAR)
- Comando e Compagnia comando
- Battaglione addestramento reclute
- Ufficio servizi
- Compagnia aviorifornitori
Nello stesso, 1963, venne inquadrata nel VI Corpo d'armata di Bologna in cui erano inquadrate le brigate di fanteria Friuli e Trieste.
L’anno successivo (1964) il Comando di Brigata si trasferi a Livorno riunendosi a tutte le altre unità operative, mentre a Pisa il CEPAR cambio denominazione assumendo quella di Scuola Militare di Paracadutismo (SMIPAR). Negli anni successivi la “Folgore” si è trovata in prima linea, sia nei casi di emergenza civile, quali inondazioni (1966) e terremoti, sia in quelle occasioni in cui l’ uso della forza è stato inevitabile.
La Brigata Paracadutisti Folgore
Finalmente il 10 giugno 1967 la Brigata Paracadutisti fu autorizzata a fregiarsi del glorioso nome di “Folgore” mentre ai suoi effettivi, pochi giorni dopo, fu assegnato il basco di colore amaranto, seguendo una tradizione comune a quasi tutti i paesi del mondo, che vuole le truppe d’elite dotate di baschi dai colori immediatamente identificabili.
Lo scenario politico internazionale, con il mondo diviso in 2 parti, gli Stati Uniti da un lato, l'Unione Sovietico dall'altro, pone l'Italia in una posizione di vitale importanza dal punto di vista strategico militare: l’attivitá addestrativa prosegui intensa, portando i Paracadutisti della Brigata ai più alti livelli internazionali, grazie anche a numerose esercitazioni, spesso in ambito NATO, che ne ufficializzarono la preparazione. La Folgore è la prima punta di diamante della NATO contro cui scontrarsi in caso di scenario bellico.
Di pari passo prosegui quindi l’ammodernamento dei mezzi e dei materiali in dotazione, in particolar modo di quelli aerei con la progressiva sostituzione dei vecchi C-119 da parte dei più moderni e capaci C-130 HERCULES e dei G-222 di progettazione italiana, oltre che l’adozione di elicotteri di vario tipo.
Il 1971 tuttavia veniva funestato da una grande tragedia: l’alba del 9 novembre un C-130K della Royal Air Force, rischierato insieme ad altri velivoli dello stesso tipo a Pisa per un ciclo di esercitazioni, si inabissava dopo il decollo nella zona delle secche della Meloria con a bordo 46 paracadutisti della Brigata partiti per effettuare un aviolancio in Sardegna. Nelle difficili operazioni di recupero perdeva la vita anche il Serg. Magg. Giannino Caria del btg. sabotatori, decorato alla Memoria di Medaglia d’Oro al Valor Civile ed a cui oggi è intitolata l’ammiraglia della piccola flotta di imbarcazioni della Brigata.
La ristrutturazione dell’Esercito italiano, avvenuta nel 1975, che mirava a privilegiare la componente qualitativa rispetto a quella quantitativa, incise profondamente sulla struttura della Brigata, con lo scioglimento del 1° reggimento, l’ assegnazione di un nominativo ai singoli battaglioni o gruppi e la costituzione di nuove unita di supporto. In base a tale ristrutturazione i battaglioni paracadutisti 2° e 5° assunsero la denominazione di Tarquinia e El Alamein, il battaglione carabinieri assunse quello di Tuscania, il battaglione sabotatori divenne 9° Col Moschin ed il gruppo di artiglieria fu ribattezzato 185° Viterbo, mentre il reparto aviazione divenne 26° gruppo squadrone A.L.E. Giove.
Nell'ottobre 1976 vennero consegnate ai battaglioni della Brigata le bandiere di guerra:
- Al 2º Battaglione la bandiera già del 187º Reggimento Fanteria Paracadutisti della Divisione "Folgore"
- Al 5º Battaglione la bandiera già del 186º Reggimento Fanteria Paracadutisti della Divisione "Folgore"
- Al 9º Battaglione la bandiera già del 10º Reggimento arditi
Vennero inoltre costituiti un battaglione logistico e le compagnie esplorante, controcarri, e genio pionieri, tutti identificati dal nome di “Folgore”. Contemporaneamente il battaglione reclute della Scuola Militare di Paracadutismo di Pisa assunse la numerazione di 3° e la denominazione di Poggio Rusco.
Successivi riordinamenti organici, interni alla Brigata, portarono allo scioglimento delle compagnie esplorante e controcarri, i cui effettivi, con logica evolutiva tendente a rendere sempre più efficienti e autonome le unità base, furono ripartiti in seno al 2° e al 5° battaglione. Infine esigenze di ordine logistico, resesi necessarie per ridurre il numero dei reparti esistenti presso la sede di Livorno, portarono ad una dislocazione del 5° battaglione e della compagnia genio pionieri, ora genio guastatori, rispettivamente presso le nuove sedi di Siena e di Lucca.
Nel 1982 viene impiegata, per la prima volta, in maniera pressochè completa (tutti i reparti) nella delicatissima missione Italcon in Libano, una delle primissiome missioni internazionali di pace. Fornirà nuovamente un gruppo tattico nel 1991 nel quadro della missione di soccorso umanitario "ITALPAR Airone", ridenominata successivamente "ITALFOR Airone", nel Kurdistan iracheno.
Nell’ anno 1992 veniva costituito il 183° btg. Nembo con sede nella città di Pistoia, razionalizzando così l’ insediamento territoriale della Brigata. L’anno successivo il 183° Battaglione, divenne 183° Reggimento costituto dal Battaglione fucilieri e dalla Compagnia CCS. E così via tutti gli altri, il 2°, con sede alla caserma Vannucci di Livorno divenne 187° Reggimento Paracadutisti Folgore, e il 5° Battaglione 186° reggimento Paracadutisti Folgore.
I Battaglioni rimasero, vennero integrati nei Reggimenti, cosicchè ogni Reggimento era costituito da un Battaglione composto da quattro compagnie fucilieri e una compagnia mortai pesanti, e da una compagnia comando e servizi esterna al battaglione che dipendeva direttamente dal Comando di Reggimento.
Nacque anche il 185° Reggimento Artiglieria Paracadutisti, con sede a Livorno alla caserma Pisacane.
Il Reggimento aveva una struttura simile ai Reggimenti 183, 186, 187, ma le Compagnie operative vennero chiamate “batterie” ed erano inquadrate in un Battaglione. Negli anni successivi i Battaglioni ebbero qualche cambiamento a livello di Compagnie fucilieri (da quattro a tre), ma la struttura rimase fondamentalmente intatta.
Da luglio 1992 la brigata fornisce effettivi all'operazione Vespri Siciliani per il controllo del territorio e la difesa di obiettivi sensibili. Dal dicembre 1992 fu impiegata in Somalia fino al settembre 1993, nella missione ITALFOR Ibis, nell'ambito dell'operazione Restore Hope ove è protagonista, il 2 luglio 1993, del primo conflitto militare italiano dal dopoguerra.
Nel 1997 l'assurda vicenda del Somalia-gate, un'indagine montata ad arte dal settimanale Panorama per screditare la Folgore, poi archiviata per totale infondatezza (si scoprì che un militare aveva inventato storie a Panorama per tornaconto personale di natura economica).
Nello stesso anno la brigata passava alle dipendenze del Comando delle forze operative di proiezione, costituito in quell'anno nell'ambito dei provvedimenti connessi con l'attuazione del Nuovo modello di difesa. Nel 1998 veniva sciolto il 3º Battaglione paracadutisti Poggio Rusco, che non aveva assunto la struttura reggimentale e l'anno successivo la Scuola militare di paracadutismo divenne il Centro addestramento paracadutismo.
Negli anni successivi ci furono significativi cambiamenti all'interno della Brigata:
- Nel 1995 il 9° Battaglione Col Moschin prese la denominazione di 9° Reggimento.
- Nel 1999 la SMiPar, Scuola Militare di Paracadutismo con sede a Pisa, divenne CeAPar (Centro Addestramento Paracadutismo).
- Nello stesso anno i Carabinieri escono dall’Esercito costituendo una propria Forza Armata e di conseguenza il Reggimento Carabinieri Paracadutisti Tuscania esce dalla Folgore.
- Nel 2001 viene ricostituito l’8° Reggimento Genio Guastatori Paracadutisti con sede a Legnago (Verona), che andrà a sostituire il Battaglione Genio Guastatori Paracadutisti di Lucca.
- Nel 2001 ai Battaglioni del 183°, 186° e 187° viene aggiunta una compagnia controcarri.
- Negli stessi anni il 185° Reggimento Artiglieria Paracadutisti divenne 185° R.A.O., Reparto Ricognizione e Acquisizione Obiettivi confluendo nel bacino fos (forze per operazioni speciali).
- Nel 2004 la brigata passa alle dipendenze del COMFOTER.
Tuttavia nel 1997, speculazioni di una nota corrente politica, hanno rischiato di far sparire per sempre i Baschi Amaranto, la Brigata Folgore ha rischiato realmente lo scioglimento. Montato ad arte il “Somalgate” dal settimanale “panorama”, nell’Aprile 2001 la sentenza della Giustizia Italiana: le foto apparse sul periodico erano state manipolate, insomma, fotomontaggi. E i racconti accusatori dei pseudo-parà italiani, storie gonfiate ad arte da mitomani in cerca di notorietà, probabilmente finanziati da “qualcuno” che non ha mai gradito la Brigata Paracadutisti.
Ma la Folgore ha “tenuto botta”, si è chiusa in se stessa come fanno le Grandi Famiglie, ha resistito come è Suo Stile ed ha atteso il momento del grande riscatto.
In Afghanistan da aprile ad ottobre 2009, la Folgore schiera il Comando e le Task Forces del Regional Command West e il contingente italiano in Kabul. Nel corso della missione i paracadutisti sono impegnati in operazioni contro i guerriglieri talebani rimanendo coinvolti in diversi conflitti a fuoco e attentati con IED sepolte nel terreno o autobomba.
I paracadutisti della Folgore sono stati i primi Italiani a essere videoripresi in combattimento in Afghanistan (6 ottobre 2009), grazie al giornalista Rai Nico Piro.
Il video della battaglia di Parmakan è stato ripubblicato da diversi siti di informazione, quotidiani e rilanciato dall'agenzia di stampa ANSA e APCOM.
Negli anni successivi all'operazione ISAF, la Brigata ha una nuova importante riorganizzazione.
Nel 2013, nell'ambito della successiva riorganizzazione, la Brigata transita alle dirette dipendenze di COMFOTER e vede mutare nuovamente la sua composizione. Entrano nella grande unità il 3º Reggimento Savoia Cavalleria, il 6º Reggimento logistico Folgore e il neo ricostituito 185º Reggimento Artiglieria Paracadutisti.
Lasciano invece la Folgore il 9º Reggimento paracadutisti d'assalto Col Moschin e il 185º Reggimento paracadutisti ricognizione acquisizione obiettivi Folgore, entrati a far parte dal 2014 del Comando delle forze speciali dell'Esercito, alle dirette dipendenze del sottocapo di Stato maggiore.
Dal settembre 2016 la Brigata lascia il Comando delle forze operative terrestri e passa alle dipendenze del Comando Forze Operative Nord.
La Folgore rimane oggi una Grande Unità altamente addestrata con mezzi ed equipaggiamenti unici nell'intera sfera della forza armata, e i suoi paracadutisti al vertice della forza armata e non solo.
La pesantissima eredità con il glorioso passato e l'altissima perizia operativa della Brigata rappresentano la forza di tutti i Paracadutisti di oggi e di domani per la difesa della Nazione.
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5°2°78
B.M.57419
Cp.Mo.Pe.120 spalleggiati
5°Btg EL ALAMEIN Siena
Sergente Paracadutista al Congedo