La prima volta non si scorda mai. Ed è stato con l'operazione Libano 2 della missione Italcon, il primo grande impiego della Folgore dal dopoguerra.
Inizia per la Brigata nel settembre del 1982 un'operazione in un paese nel quale, per lunghi anni, molte fazioni di differente religione ed etnia si sono aspramente combattute. La Brigata Paracadutisti è presente, dal primo all 'ultimo giorno, con proprio personale e mezzi inquadrati nel Contingente della Forza Multinazionale.
Il Contesto
Il 6 giugno 1982, come risposta al tentativo di assassinio messo in atto da parte dell'organizzazione palesineres al-Fath contro l'ambasciatore israeliano nel Regno Unito Shlomo Argo, scatta la prima guerra del Libano, nota anche come Operazione Pace in Galilea, ove Forze di Difesa Israeliane (FDI) invasero il sud del Paese.
Un'altra ragione fornita da Israele per giustificare l'operazione fu che l'intervento era stato attuato per intervenire nella guerra civile libanese e controbattere l'influenza siriana in Libano e possibilmente consentire l'instaurazione di una stabile leadership della popolazione cristiana, che avrebbe rafforzato l'esercito regolare libanese, ripristinato la sicurezza e consentito di avviare relazioni diplomatiche con Israele.
Nel prosieguo del 1982, fu raggiunto un accordo e forze militari di pace statunitensi, francesi e italiane (Missione Italcon) garantirono ai sopravvissuti dell'OLP di trovare rifugio negli Stati arabi confinanti.
Philip Habib, l'inviato del presidente degli USA Ronald Reagan in Libano, garantì all'OLP che i civili palestinesi nei campi profughi non sarebbero stati nuovamente armati.
Le prime truppe sbarcarono nelle spiagge vicino a Beirut nell' agosto 1982. Gli italiani denominarono il loro intervento Missione Italcon, i francesi Opération Diodon.
I parà del 2e Régiment étranger de parachutistes della Legione straniera (2° REP) furono i primi ad entrare nella città, sbarcando nel porto da veicoli anfibi della Marine nationale per poi spostarsi nei sobborghi.
Il 19 agosto 1982, il 2° REP, riuscì, su richiesta dei libanesi, a consentire la partenza del contingente palestinese, trincerato a Beirut, di fronte all'avanzata israeliana.
Il 23 agosto 1982, l'ex capo delle falangi libanesi Basir Gemanyel diventa Presidente del Libano. L'evento sarà fortemente significativo per il proseguio, negli anni seguenti, della missione Italcon.
L'operazione internazionale dura una ventina di giorni, e il contingente si ritira insieme al resto della forza multinazionale il 12 settembre seguente.
Ma il 14 settembre 1982 c'è l'evento che culminerà con nuovi scontri e massacti: il neo presidente eletto, Basir Gemanyel, viene assassinato con un attentato dinamitardo insieme a 26 dirigenti falangisti.
E' in questo momento che le forze israeliane occupano Beirut Ovest.
Il 18 settembre 1982, le milizie cristiane libanesi, guidate da Elie Hobeik e alleate di Israele, compresi i Falangisti ed gruppi legati agli ex-presidenti libanesi Camille Shaʿmūn e Sulaymān Frānjiyye, massacrano 700 civili nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut, in rappresaglia per la morte di Gemayel e per la strage di Damour del 1976 ove furono massacrati più di 500 civili cristiano-maroniti.
Anche in questo caso l’esercito israeliano non internieve per fermare l’uccisione dei civili.
Viene quindi deciso il ritorno della Forza Multinazionale in Libano, composta da francesi, statunitensi e italiani.
Parte l'Italia parte Italcon Libano 2.
La missione Italcon Libano 2
La missione ebbe inizio il 20 settembre 1982 con la partenza delle navi da sbarco Grado e Caorle che trasportavano i blindati del Battaglione "San Marco" al comando del capitano di fregata Pierluigi Sambo, scortate dalla fregata Perseo, e dei traghetti Canguro Bianco, Buona Speranza partiti da Genova con a bordo i mezzi e la logistica e Staffetta Jonica partita da Cipro con a bordo il primo nucleo avanzato di Incursori del 9° Btg. Col Moschin arrivati nell'isola con un ponte aereo Italia/Cipro dell'a 'Aeronautica Militare ed aerei civili.
Quando la situazione sul terreno peggiorò si aggiunsero, inoltre, a supporto del contingente a rotazione, le unità della Marina Militare dotate di cannoni con calibro 127/38: Intrepido, che fu la prima a giungere in supporto il 12 maggio 1983, e quelle dotate di cannoni con il calibro 127/54: Ardito, Audace, Perseo, Lupo, Sagittario e Orsa.
Una missione estremamente impegnativa sotto ogni aspetto. Per la Folgore quindi, anche un vero e proprio test sul campo. Non si trattava più di addestramento, ma di un impegno, per quanto umanitario, militare e su una zona di guerra.
I compiti sono impegnativi: garantire la sicurezza nella zona dall’aeroporto al centro della capitale, in una fascia periferica dove con una forte presenza di campi profughi palestinesi, tra i quali quelli tristemente noti per i massacri che vi furono compiuti, di Sabra e Chatila, scorte a personale politico, civile, militare locale ed estero e, cosa più difficile, proteggersi dagli aggressori. Combattere in pratica.
Il contingente italiano, inizialmente di un migliaio di uomini, al comando del Colonnello Paracadutista Franco Angioni, il 24 settembre 1982 arrivò in Libano.
I rapporti con la popolazione locale e le diverse parti in lotta vennero inoltre enormemente facilitati dalla costruzione di un ospedale da campo nei pressi dell'aeroporto di Beirut, dove tutti i feriti di qualunque fazione e i civili venivano curati. Nei mesi successivi Angioni fu promosso Generale di brigata e il contingente raggiunse un organico di 2.300 unità.
Si avvicendarono il 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti Tuscania, il 2° Battaglione Tarquinia e il 5° Battaglione El Alamein nel seguente modo:
- Settembre 1982 - Marzo 1983, 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti Tuscania
- Marzo 1983 - Luglio 1983, 2° Battaglione Paracadutisti Tarquinia
- Luglio 1983 - Novembre 1983, 5° Battaglione Paracadutisti El Alamein
- Novembre 1983 - Febbraìo 1984, 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti Tuscania
1983, l'anno più duro
Il 15 marzo 1983 alle 21.00 una pattuglia del Battaglione "San Marco" cadde in una imboscata nei pressi del campo di Sabra, e quattro uomini rimasero feriti, di cui uno gravemente. Quella stessa notte il generale Angioni decise di uscire con gli incursori del Col Moschin per intercettare gli assalitori, che ancora non avevano lasciato la zona.
Al contatto col nemico iniziò un violentissimo scontro a fuoco, nel quale i libanesi si batterono con armamento più pesante e armi controcarro. Nel combattimento tre incursori rimasero feriti (uno perso una gamba) e si decise di sospendere l'azione.
Il 15 marzo 1983 un mezzo italiano mentre si trovava in azione di pattugliamento notturno sulla via dell'aeroporto nei pressi del campo profughi palestinese di Burj el-Barajneh, a Beirut, cadde in un'imboscata e fu attaccato con raffiche di mitra e lancio di bombe. Il militare italiano Filippo Montesi, marò del San Marco, venne colpito alla schiena e muore in Italiana il 22 marzo 1983 a seguito delle ferite riportate.
L’apice della tensione comunque è raggiunto tra fine agosto e settembre 1983: il 22 settembre 1983, un bombardamento di artiglierie druse diretto ai quartieri cristiani, colpì un deposito munizioni del 5° Bataglione Par. "El Alamein" distruggendolo e ferendo tre Paracadutisti.
Il metodo Angioni: un modello per il futuro
L'intervento in Libano, durante il quale sia il contingente americano sia quello francese subirono gravissime perdite in seguito a due attentati (Il 23 ottobre 1983 un duplice attentato dinamitardo alle basi della forza multinazionale causò la morte di 241 marines statunitensi e 56 soldati francesi), fu grazie al Gen. Franco Angioni un modello cui si riferirono anche le successive missioni italiane all'estero, tra cui la Somalia (1992-1993).
L'approccio del Generale, infatti, fu quello di spingere i propri soldati a conoscere la cultura locale, sulla quale distribuì a tutti dei libri. Questo permise agli italiani di comprendere le ragioni delle parti e proporsi come forza di interposizione, piuttosto che come l'ennesimo contingente straniero in terra libanese.
I rapporti con la popolazione locale e le diverse parti in lotta vennero inoltre enormemente facilitati dalla costruzione di un ospedale da campo nei pressi dell'aeroporto di Beirut, dove tutti i feriti di qualunque fazione venivano curati.
Un caso paradigmatico del livello di interazione raggiunto è la storia del piccolo Mustapha Haoui, curato nell'ospedale da campo italiano, che divenne in seguito la mascotte del contingente, emigrò poi in Italia ed è divenuto tecnico di laboratorio presso l'Istituto Regina Elena di Roma.
La fine della missione venne avviata l'11 febbraio 1984 con il trasferimento a Cipro dei civili italiani da parte della nave Caorle.
Fal 20 febbraio rientra inoltre la squadra navale al comando dell'ammiraglio Giasone Piccioni, costituita da Vittorio Veneto, Doria, Ardito, Audace, Orsa, Perseo, Sagittario, Stromboli, Caorle, a protezione dei traghetti civili Anglia e Jolly Arancione e delle motonavi Appia e Tiepolo, con le navi Doria, Sagittario e Caorle che resteranno in Libano ancora per poco tempo.
La missione terminò il 6 marzo 1984, quando rientrò l'ultima compagnia carabinieri paracadutisti.
Filippo Montesi, Marò di leva, 3°/82, del battaglione "San Marco" della Marina Militare, deceduto il 15 marzo 1983, fu l'unico militare italiano a cadere durante la missione ITALCON "Libano 2".
In quella missione si sono avuti inoltre 75 feriti da parte italiana.
Insciallah
Dall'esperienza giornalistica in Libano con le truppe Italiane, la scrittriche Oriana Fallaci pubblica nel 1990 il famoso romanzo "Inshallah". Ambientato ai tempi della guerra civile in Libano negli anni ottanta durante l'intervento delle forze internazionali.
Proprio attraverso le vicende personali e comuni dei componenti il contingente italiano nei tre mesi che intercorsero tra gli attentati di Beirut e il ritorno in patria della forza italiana, la Fallaci descrive un complesso retroscena che diventa uno spaccato della società italiana e fasi di scontri armati in cui prevalgono sequenze più dinamiche. Il titolo fa riferimento all'invocazione araba Inshallah "Se Dio vuole".
Organizzazione e reparti impiegati
- Comandante e Comando
- Compagnia Comando e Trasmissioni
- Compagnia incursori del 9º Btg. d’Ass. par. “Col Moschin”
- Un battaglione Paracadutisti della brigata Folgore (si alternavano il 1º Btg. CC.par. ”Tuscania”, il 2°Btg.par. “Tarquinia”, il 5° Btg.par. “El Alamein”, oltre a elementi del 185º Gruppo Viterbo, del Reparto Comando e Trasmissioni, della Compagnia Pionieri, della Scuola militare di Paracadutismo)
- Un Battaglione San Marco della Marina Militare, con elementi del GOI del Comando Subacquei e Incursori
- Un Battaglione Bersaglieri (prima Governolo, poi Bezzecca, quindi il Cernaia allora di stanza a Pordenone)
- Squadrone Cavalleggeri su autoblindo
- Plotone del Genio
- Battaglione Logistico
- Ospedale da Campo, con elementi della Sanità militare
- Mezzi: 97 veicoli corazzati da combattimento, 6 autoblindo, 125 autovetture, 186 autocarri, 89 rimorchi e 8 autoambulanze
Caduti
Il Sottocapo Fuciliere Filippo Montesi del Battaglione San Marco, scaglione di leva 3°/82, nato Fano l'11 maggio 1963 e deceduto a Roma al policlinico Umberto I° il 22 marzo 1983, fu l'unico militare a cadere durante la missione ITALCON.
Il 15 marzo 1983, venne colpito da raffiche di mitra alla schiena durante un'imboscata mentre si trovava in azione di pattugliamento notturno sulla via dell'aeroporto di Beirut, nei pressi del campo profughi palestinese di Burj El Barajneh.
Morì il 22 marzo 1983 a seguito delle ferite riportate, a nemmeno vent’anni.
A Fano, la sua città, e soprattutto nel quartiere Sant'Orso dove risiedeva, alla memoria di Filippo sono state dedicate:
- Via F. Montesi
- Scuola Primaria F. Montesi
- Campo sportivo F. Montesi
A Barile, paese della provincia di Potenza:
- Piazza Filippo Montesi
Porta il suo nome anche il locale gruppo di Fano dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia.
Croce di guerra al valor militare
Militare del contingente di pace nel Libano, in servizio di pattugliamento notturno, veniva attaccato con raffiche di mitra e lancio di bombe. Ferito gravemente in più parti, dando prova di abnegazione, incitava i commilitoni a reagire, invitandoli a non curarsi di lui.
Beirut (Libano), 15 marzo 1983
Buongiorno, sto cercando di ritrovare una copia del libro Italiani in Libano da regalare al mio caro amico Luca che partecipò ai tempi alla missione di pace nel’ 82, ne aveva una copia ma purtroppo è andata persa nel tempo. Sarebbe felice a ritrovarlo anche perchè ha il suo nome e cognome stampato nel retro copertina. Vi chiedo se qualcuno sa dove trovarlo o cortesemente mi può dare indicazioni.
Vi ringrazio di cuore.