24 ottobre 1942, ore 21:40: in una notte di luna piena 1.000 cannoni inglesi aprono il fuoco simultaneamente sulle postazioni Italo-Tedesche, è un inferno che dura 20 interminabili minuti. L'ultimo atto della Battaglia di El Alamein è cominciato.
Il suo esito sarà determinante per le sorti di tutta la seconda guerra mondiale. A contendersi El Alamein sono il Generale Berard Law Montgomery, Comandante dell forze imperiali britanniche, di cui fanno parte truppe inglesi, neo zelandesi, australiane, indiane, sudafricane e francesi e il Generale Erwin Rommel, Comandante dell'Afrikakorps che guida le truppe italo-tedesche.
Il bagliore delle armi si disperde nel cielo inondato di luce: il destino dell'armata italo-tedesca è già scritto nei numeri: uomini, mezzi, carburante, tutto gioca a favore degli inglesi. Errori di strategia nei mesi passati, come la mancata invasione di Malta, scalo strategico fondamentale per affrontare adeguatamente gli impegni bellici nel nord Africa, costeranno care alle truppe dell'asse.
Il 4 novembre la battaglia è finita, i caduti danno la dimensione dello scontro: 9.000 tedesci, 13.500 inglesi, 17.000 italiani.
Gli ultimi a cedere saranno i Paracadutisti Italiani della Folgore: un coraggio eroico che merita l'onore del nemico e la memoria di chi sopravvive, e di chi oggi questa gloriosa unità continua a servirla con onore.
Da "El Alamein" di Paolo Caccia Dominioni:
Scendono da una vettura tre prigionieri italiani, un generale e due colonnelli.
Portano l'uniforme della "Folgore": sono Frattini, comandante, Bignami, vice comandante e Boffa comandante dell'artiglieria paracadutista.
Si avvicina un interprete.
"Lei è il comandante della Folgore? Un generale inglese desidera salutarla".
Si presenta il generale Hugues, della 44^, la divisione che nell'attacco alla "Folgore" ha subito lo smacco principale.
I tre italiani e l'inglese, ritti e impalati, si salutano.
L'inglese accenna a tendere la mano: Frattini è immobile.
La mano inglese si ritrae.
"Si era sparsa la voce" dice Hugues "che il comandante della "Folgore" fosse caduto. Ho saputo che non è vero e voglio dire che sono contento."
Frattini: "Grazie".
"Volevo anche dire che nella mia lunga vita militare mai avevo incontrato soldati come quelli della Folgore."
Introduzione
Al km 120 della litoranea Alessandria d'Egitto-Marsa Matruh si fronteggiarono due eserciti e due strateghi geniali: Rommel, Comandante dell'Afrika Korps e Montgomery, Comandante dell'8° Armata britannica.
Nel 1942, c'era soltanto una stazioncina lungo la ferrovia che dal Delta del Nilo raggiungeva il confine con la Libia e che gli Inglesi avevano prolungato fino in prossimità di Tobruk.
Situata sul Golfo degli Arabi, la località, distante 180 chilometri da Maesa Matruh e 105 da Alessandria, era soltanto un nome sulla carta geografica. Nessuno poteva immaginare che uomini in armi sotto una dozzina di bandiere (altro che le « due bandiere » del nome), si sarebbero dati battaglia in quel posto desolato: gli Italo-tedeschi, decisi a raggiungere Alessandria, Il Cairo e Suez, gli Inglesi, le truppe del Commonwealth e gli alleati altrettanto decisi a sbarrare il passo ai primi.
Nel 1940, in previsione dell'entrata in guerra dell'Italia e di una avanzata dalla nostra Decima Armata in direzione dell'Egitto, il Comandante inglese del Medio Oriente, Generale Archibald Wavell, e il Comandante dell'Armeé d'Orient francese, enerale Maxime Weygand, compirono una ricognizione a El Alamein, avendo valutato l'importanza della posizione, difficilmente raggiungibile da sud. Quando gli Italiani raggiunsero El Alamein, scoprirono che alcune opere in calcestruzzo, apprestate dagli inglesi, recavano la data del 1940: segno evidente che le difese non erano state improvvisate.
Dunque, una posizione difficilmente aggirabile, infatti, a poco meno di 60 chilometri dalla costa, il deserto, rotto qua e là da piccoli rilievi che diventarono di grande importanza tattica e sovrastato a sud dai 217 metri della « piramide » naturale rocciosa di Quaret El Himeimat, piomba verso la depressione di El Qattara (134 metri sotto il livello del mare), costellata di sabbie mobili e terreno cedevole.
Un’altra curiosità, questa molto importante, è che nella zona di El-Alamein si trovarono le uniche sorgenti di acqua dolce di quel tratto di deserto occidentale egiziano.
L'evidente sproporzione delle forze in campo, a favore degli inglesi (l'Ottava Armata britannica contava 220mila uomini, contro i 96mila dell'Afrika Korps Italo-Tedesco), era aggravata dalla mancanza di rifornimenti e dal fatto che i trasporti marittimi diretti in Libia erano implacabilmente silurati dagli inglesi.
Gli schieramenti e i piani di combattimento
Dal nord verso sud lo schieramento dell'Asse Italo-Tedesco era il seguente: a nord le divisioni di fanteria "Trento", "Bologna" e "Brescia". All'estremità sud, la divisione Paracadutisti "Folgore", appena giunta in Africa settentrionale. Alle spalle della "Folgore", la divisione "Pavia". In prima linea, a sostegno delle forze italiane, la 164ma divisione tedesca e la brigata Paracadutisti del generale Ramcke. Le unità di manovra, tenute in seconda schiera, erano a nord la divisione corazzata "Littorio" e la 15ma Panzerdivision, e a sud la divisione corazzata "Ariete" e la 21ma Panzerdivision. Di riserva, la divisione "Trieste" e la 90ma divisione tedesca.
Lo schieramento adottato da Montgomery era formato a nord, dal 30° Corpo d'Armata, a sud il 13° e, alle loro spalle, il reparto meglio addestrato e meglio armato, ossia il 10° Corpo d'Armata corazzato.
Nel 30° Corpo figuravano le divisioni indiana, neozelandese, australiana e sudafricana; nel 13°, oltre a due divisioni inglesi, due brigate francesi e una brigata greca.
Il Generale inglese aveva quindi a sua immediata disposizione tre divisioni corazzate e l’equivalente di sette divisioni di fanteria. Il concentramento di forze così ingenti richiese molte misure ingegnose di occultamento e molte precauzioni.
Il suo piano consisteva nell'attaccare il centro del settore nord, dov'erano schierate la "Trento" e la 164ma divisione tedesca, tentando di sfondare nel tratto tenuto dagli italiani, ritenuti più deboli e peggio armati dei loro camerati germanici. Fatto questo, aprire due corridoi nei campi minati, attraverso i quali far passare i mezzi corazzati che dovevano eliminare i panzer nemici. I carri avrebbero protetto l'avanzata della fanteria e avrebbero spazzato via i reparti dell'Asse di prima linea. In un secondo tempo era prevista la distruzione delle truppe Italo-Tedesche di copertura. Infine dovevano essere eliminate le riserve.
Il piano di Montgomery era una finta a sud, per poi attaccare in forze a nord. Nei giorni precedenti nel prepararsi, aveva mascherato e mimetizzato (addirittura avvalendosi di uno sceneggiatore cinematografico - Barkas- e di un illusionista - Maskelyne) un fortissimo concentramento a nord (86 battaglioni di fanteria, 150.000 uomini, alcune migliaia di automezzi, 3247 cannoni, migliaia di tonnellate di rifornimenti, 1350 carri armati. 1200 aerei) mentre predisposte un altro contingente di molto inferiore e disordinatamente a sud, che trasse in inganno Rommel prima di partire; più che convinto che gli inglesi con le forze che disponevano a sud non potevano prima di novembre scatenare un offensiva.
Soprattutto, fu necessario per la Gran Bretagna impedire all’aviazione nemica di rendersi conto perfettamente dell’imponenza dei preparativi. Tale sforzo fu coronato da un completo successo così che l’attacco costituì per il nemico una vera sorpresa.
Assente Rommel (ricoverato in Germania alla fine di settembre), la battaglia cominciò alle 21.40 precise del 23 ottobre 1942, in una notte di luna piena, quando i mille cannoni di Montgomery aprirono il fuoco simultaneamente lungo il fronte, concentrando il tiro sulle postazioni di artiglieria sulle truppe dell'Asse per una ventina di minuti; il tiro era quindi diretto contro le posizioni occupate dalla fanteria.
La Battaglia, urto iniziale
Alle 22 del 23 ottobre 1942 scatta l'azione delle fanterie che sarà seguita dall’azione dell'urto. Sotto la protezione del fuoco delle artiglierie, resa più efficace dai bombardamenti aerei, avanzarono il XXX e il XIII corpo d’armata, comandati rispettivamente dai Generali Leese e Horrocks, che attaccarono su un fronte di quattro divisioni; l’intero XXX corpo cercò di aprirsi due varchi attraverso le linee fortificate nemiche.
Dietro di esso seguirono le due divisioni corazzate del X corpo d’armata (Generale Lumsden) per sfruttare l’eventuale successo.
Notevoli progressi furono compiuti sotto la protezione di un fuoco imponente; all’alba erano state state create nello schieramento nemico profonde sacche. Tuttavia, sino a quel momento nessuna breccia fu aperta nel profondo sistema di campi minati e di sistemazioni difensive dei tedeschi. La resistenza dei tedeschi e degli italiani fu accanita, superiore al previsto.
Ma all'alba del 24 ottobre il 30mo Corpo d'armata britannico raggiunse gli obiettivi assegnati, ma le sue fanterie stanche e provate non poterono contribuire ad assicurare il passaggio dei carri armati nel varco aperto nel settore nord. Intanto il Generale tedesco Stumme, sostituto di Rommel, 24 ore dopo l’inizio della battaglia muorì. Secondo alcune fonti di aploplessia, con un un colpo di rivoltella alla tempia, secondo altri.
Nelle primissime ore del giorno 25 Montgomery tenne rapporto ai comandanti di grado più elevato, dando ordine di spingere di nuovo all’attacco prima dell’alba le forze corazzate, in conformità alle sue istruzioni iniziali. Effettivamente, durante la giornata altro terreno fu guadagnato dopo aspri combattimenti; l’altura chiamata Kidney Ridge diviene teatro d’una battaglia furiosa con le divisioni corazzate nemiche, la 15a tedesca e l’ “Ariete” italiana, che lanciarono una serie di violenti contrattacchi.
Su richiesta di Hitler, Rommel lasciò l’ospedale e riprese il comando nel tardo pomeriggio del giorno 25. Aspri combattimenti si svolsero per tutto il 26 lungo la profonda sacca aperta sino a quel momento nelle linee nemiche, e soprattutto ancora nella zona di Kidney Ridge.
L'aviazione tedesca, che nei due giorni precedenti rimase, lanciò l’ultima sfida alla superiorità aerea inglese. Vi furono parecchi scontri che si risolvono per la maggior parte a favore di Montgomery.
Gli sforzi del XIII corpo d’armata ritardarono, ma non riuscirono ad impedire il trasferimento delle unità corazzate tedesche verso quello che ormai Rommel sapeva che era il settore decisivo della battaglia. Questo movimento fu tuttavia duramente ostacolato dalla RAF.
Durante tutto il 27 e il 28 ottobre infuriò una violenta battaglia per l’altura di Kidney, scatenata ripetutamente dalla 15a e dalla 21 a divisione corazzata tedesche, appena arrivate dal settore sud.
L'avanzata inglese riprese il 28 nei corridoi, sotto il fuoco rapido e micidiale dei cannoni anticarro tedeschi; i carri armati inglesi posti fuori combattimento si contavano già a decine.
E' il momento culminante. Il 28 sera i carri inglesi distrutti sono circa trecento. La 1ma divisione corazzata inglese, al di là del corridoio, rischia a un certo punto di venire attaccata e respinta dalla 21ma divisione Panzer tedesca.
Montgomery, per evitare il peggio, spinse verso nord la 7ma divisione corazzata e ordinò alla 9na divisione australiana di colpire anch'essa a nord. La situazione non si presentà brillante. Il comandante dell'Ottava armata penssava di sfondare in un arco di tempo di una decina di ore e invece i suoi calcoli si rivelarono terribilmente sbagliati.
A questo punto il Generale Inglese diede disposizioni per effettuare lo sfondamento decisivo (operazione "Supercharge", ovvero colpo d'ariete).
Lo sfondamento decisivo, "il Supercharge"
Ecco come si svolse l’operazione "Supercharge", secondo le parole del Generale Inglese Alexander: «La notte del 28 e poi nuovamente il 30 ottobre gli australiani attaccarono verso nord in direzione della costa riuscendo finalmente a isolare quattro battaglioni tedeschi rimasti sul posto. Il nemico sembrava fermamente convinto che intendessimo attaccare lungo la strada e la linea ferroviaria e reagì alla nostra puntata con estrema energia. Rommel spostò la 2^ divisione corazzata dalla sua posizione a ovest del nostro saliente vi aggiunse la 90^ divisione leggera che sorvegliava il fianco nord dello stesso saliente e lanciò le due unità in furiosi attacchi per disimpegnare le truppe accerchiate. Il posto lasciato libero dalla 2^ divisione corazzata fece avanzare la divisione "Trieste" che era la sua ultima unità di riserva non ancora impiegata. Mentre Rommel era così duramente impegnato e dava fondo alle ultime formazioni fresche che gli rimanevano nel tentativo di disimpegnare un solo reggimento noi fummo in grado di completare senza essere disturbati la riorganizzazione delle nostre forze per l’operazione “Supercharge”. La magnifica puntata degli australiani, attuata con una serie ininterrotta di aspri combattimenti, aveva volto a favore degli inglesi le sorti di tutta la battaglia.
All’una antimeridiana del 2 novembre l’operazione “Supercharge” aveva inizio. Protette da un fuoco di sbarramento di 300 pezzi d’artiglieria, le brigate britanniche aggregate alla divisione neozelandese sfondarono il sistema di difesa nemico e la IX brigata corazzata britannica si lanciò in avanti. Esse urtarono tuttavia in una nuova linea di difesa, forte di numerose postazioni anticarro, lungo la pista di Ei Rahman. Ne risultò un lungo combattimento che costò gravi perdite alla brigata; il corridoio alle sue spalle fu però tenuto aperto e la la divisione corazzata britannica poté avanzare lungo di esso".
La sera del 2 novembre secondo le stesse fonti tedesche, le divisioni corazzate germaniche, che iniziarono la battaglia con 240 carri efficienti, ne allinearono soltanto 38, ma invece di ripiegare il 3 novembre arrivò un perentorio ordine di Hitler, con il quale si impose all'Afrika Korps di farsi uccidere sul posto piuttosto di indietreggiare di un metro. Così Rommel mandò a tutti i reparti l'ordine di resistere a ogni costo, rifiutando di accettare le implorazioni dei suoi generali, contrari a questa condotta.
Nelle prime ore del giorno 4, la V brigata indiana scatenò un fulmineo attacco a otto chilometri a sud di Tel El-Aggagir, con successo.
Montgomery è in piena avanzata, avendo aggirato ormai lo sbarramento anticarro italo-tedesco. Il Generale tedesco Von Thoma, in prima linea, si consegna agli inglesi, senza rispettare, in questo modo, l’ordine imposto da Hitler ai suoi uomini. Alle 15.30 giunge a Rommel un messaggio: la divisione italiana "Ariete" non esiste più, si è immolata per tenere le posizioni.
Gli inglesi hanno aperto una breccia ampia venti chilometri. Alle 8 di sera, quando apprende che la brigata corazzata britannica è già arrivata alla litoranea, Erwin Rommel decide l'unica soluzione possibile: la ritirata.
Gli ultimi a cedere ad El Alamein saranno i Paracadutisti della "Folgore", abbarbicati al terreno a sud, ai margini della depressione di El Qattara hanno di fronte quel 13mo Corpo d'armata che, secondo la versione inglese, deve impegnarsi soltanto per dar vita a un falso scopo, mentre in realtà è costretto a combattere una delle più dure e logoranti battaglie locali di sfondamento dell'intero fronte.
I Paracadutisti Italiani della Folgore resisterono per ben tredici giorni SENZA CEDERE UN METRO, senza acqua e senza cibo.
Stremati, e senza munizioni, continuarono a combattere andando all’attacco con i propri pugnali, e all’invito inglese di arrendersi, accerchiati dagli inglesi, montarono sulle carcasse dei carri, petto in fuori e pugnale in alto risposero con il grido: “FOLGORE!!!”
Partiti dall'Italia in cinquemila, rimasero, tra ufficiali e truppa, in trecentoquattro.
Alla resa, i ragazzi ebbero l’Onore delle Armi e il nome della divisione, FOLGORE, con le loro gesta divenne subito, inevitabilmente, leggenda.
Coraggio contro acciaio: il ruolo della Folgore, consumata, MA NON VINTA
La sera del 23 ottobre, come descritto, cominciò l'improvvisa azione di preparazione dell'artiglieria avversaria che preannunciava l'imminenza dell'attacco.
Gli inglesi disponevano di 2.000 nuovi carri armati dei tipi più moderni, (oltre 1.300 impiegati nella battaglia) in prevalenza americani, di una fortissima aviazione che dominava incontrastata il cielo, di circa 3.000 cannoni di ogni calibro e di elevata potenza, con una scorta di munizioni che permetteva loro di rovesciare sulle nostre linee migliaia di tonnellate di proiettili per settimane consecutive.
Dai margini della depressione di El Qattara fino al mare si accese, improvviso, un gigantesco lampegiare che si fondeva in un'unica vampata vulcanica, accompagnata da migliaia di scoppi che sommergevano completamente il nostro schieramento, dalla linea dei capisaldi alle postazioni d'artiglieria ed oltre, per sconvolgere e distruggere tutto ciò che potesse potenziare la nostra resistenza. L' uso di cortine fumogene paralizzava l' osservazione, ostacolava il tiro dei cannoni ed impediva di scorgere le mosse del nemico che si apprestava a serrare sotto le nostre difese per attaccarle.
La "Folgore" attendeva l'imminente urto con la ferma volontà di opporsi all'avversario col massimo impegno e far pagare, agli inglesi, a caro prezzo, il loro ambizioso progetto.
I nostri ragazzi sembravano elettrizzati da quell'atmosfera di battaglia e dall'eccezionale spettacolo che si svolgeva intorno a loro, ed attendevano senza timori lo sviluppo degli avvenimenti per incontrarsi con i Inglesi e dare loro il "benvenuto".
Alle ore 20,40 del 23 ottobre l'avversario iniziava un fuoco di artiglieria di violenza e proporzioni inusitate che si protraeva ininterrottamente per tutta la notte sul 24 ed investiva in pieno l'intero fronte presidiato dalla Divisione "Folgore".
Dal rilevamento delle vampe si potè calcolare che contro il solo fronte del 187° reggimento agivano non meno di 150 pezzi (confermati poi in 200). Malgrado il massiccio tiro d'artiglieria, si poteva udire ogni tanto lo sferragliamento di cospicue masse di carri armati serranti sotto le posizioni dei paracadutisti.
Quando, fra gli scoppi e le vampe che illuminavano a giorno le postazioni si udì l'ordine dei comandanti «ai posti di combattimento» un grido solo rispose, altissimo ed unanime «Folgore!». Subito dopo numerose pattuglie nemiche, protette da nebbiogeni, tentavano di raggiungere i campi minati per aprirvi dei varchi, ma venivano inesorabilmente respinte.
Nel settore centrale la compagnia avanzata, la 6° comandata dal Capitano Marenco, si fece sterminare dopo un violento corpo a corpo; dei 90 paracadutisti che componevano la compagnia, solo una ventina rìuscirono a ripiegare verso la nostra linea principale di difesa. Avevano distrutto 30 carri armati ed ucciso circa 150 inglesi. Nel pomeriggio del 24, in un tentativo di contrattacco, cadeva il comandante dei raggruppamento Tenente Colonnello Marescotti Ruspoli a cui veniva concessa la medaglia d'oro alla memoria.
Verso le ore 14 del 25 ottobre una colonna di una quarantina di carri (4° Brigata corazzata leggera della 7° Divisione corazzata britannica) e due battaglioni di fanteria attaccavano il caposaldo della 12° compagnia deil IV/187° comandata dal Capitano Cristofori. Dopo lotta violentissima, che condusse a fasi di corpo a corpo, il nemico veniva respinto con perdite particolarmente sanguinose, lasciando sul terreno 22 carri armati immobilizzati.
Nella notte sul 26 l'avversario compiva l'ultimo tentativo di rompere il fronte della "Folgore". Avendo constatato la saldezza della nostra linea, decise di far massa contro il saliente di Deir el Munassib, allo scopo di impadronirsene e di irrompere quindi lungo un allineamento vallivo (Deir el Munassib-Deir Alinda), che da quelle posizioni si diparte.
Dopo la consueta preparazione di artiglieria e nebbiogeni, al sorgere della luna (ore 22) la 69° Brigata di fanteria (50° Divisione britannica) e reparti della Brigata "Francia Libera" mossero su tre colonne all'attacco contro le posizioni dei IV/187° reggimento. Una colonna, composta di due battaglioni dei reggimento "Green Howards" e di una compagnia autoblindo, riprendeva il fallito attacco del pomeriggio contro il caposaldo della 12° compagnia; un'altra colonna formata di elementi d'assalto degaullisti, impegnava la 10° compagnia; una terza colonna costituita dai battaglioni del reggimento "Royal West Kent" (44° Divisione britannica) e dal battaglione carri IV/8° Hussars (7° Divisione corazzata), investiva da ogni lato il caposaldo presidiato dalla 11° compagnia. Contemporaneamente venivano impegnate da altre unità le postazioni del II battaglione. Alle ore 23 l'intero fronte dei 187° reggimento era così premuto da ogni parte.
Aliquote del IX battaglione in secondo scaglione, venivano spostate nella notte per rafforzare le ali dello schieramento, particolarmente minacciate. Verso le ore 01,00 gli attacchi diretti contro le postazioni della 10° e 12° compagnia potevano considerarsi stroncati. Le colonne avversarie in seguito alle gravi perdite subite, desistevano da ogni tentativo di progresso e si accontentavano di mantenere impegnata la difesa.
Grave si manifestava invece la situazione della 11° compagnia. I vari centri di fuoco della compagnia attaccati su ogni lato e premuti da presso dai carri armati si difesero disperatamente. La lotta durò violentissima per un paio d'ore; poi, uno alla volta, i pezzi controcarro esaurirono le munizioni e non potendo esserne riforniti perché rimasti isolati, furono costretti al silenzio. Le armi automatiche venivano soverchiate dai carri. Alle ore 04,00 solo un paio di centri di fuoco resistevano ancora; la quasi totalità degli uomini della compagnia era caduta sulle posizioni.
In questa azione cadeva eroicamente, guidando un ultimo disperato tentativo di contrassalto, il Comandante della compagnia Capitano Costantino Ruspoli alla cui memoria fu conferita la medaglia d'oro.
Alle prime luci del giorno 27 il Comandante dei IV/187° (Capitano Valletti) quattro volte ferito, ma rimasto volontariamente sul posto, ordinava un contrassalto che veniva eseguito da un plotone al Comando del Tenente Raffaele Trotta, Comandante della compagnia cannoni da 47/32 assegnata in rinforzo al IV battaglione.
Ad azione ultimata, le posizioni perdute venivano riconquistate e saldamente tenute, successivamente il tenente Trotta veniva sostituito dal Tenente Gallo, il quale a sua volta ferito, cedeva il comando del battaglione al Maggiore Vagliasindi.
Nel corso del giorno 27 il nemico, efficacemente contrastato, tentava un ulteriore attacco, contro le posizioni della 10°/IV con elementi degaullisti rinforzati da un battaglione del Queen's Royal Regiment (44° Divisione inglese). La immediata, decisa reazione del presidio, il tempestivo intervento delle artiglierie stroncavano l'attacco ed il nemico veniva rigettato con gravi perdite.
Durante il contrassalto cadeva eroicamente alla testa dei suoi uomini il comandante della compagnia, Tenente Gastone Simoni alla cui memoria veniva conferita la medaglia d'oro.
Il Maggiore d'artiglieria Francesco Vagliasindi del 185° reggimento, il cui gruppo a seguito delle perdite subite era stato sciolto, e che aveva chiesto l'onore di assumere il comando di un reparto di fanteria, cadeva alla testa del IV/187° reggimento.
Il giorno 28 il nemico, esausto, non rinnovava i suoi attacchi limitandosi a battere le nostre posizioni con violenti tiri di artiglieria e mortai.
Nei giorni successivi, dopo qualche scontro di carattere locale, gli opposti fronti andavano stabilizzandosi.
L'offensiva tentata dal nemico contro la "Folgore" era sanguinosamente fallita dopo sei giorni di accaniti combattimenti ed inutili attacchi. L'avversario era solo riuscito ad occupare parzialmente un caposaldo avanzato senza però infirmare la solidità delle posizioni, nè intaccare minimamente la linea di resistenza. Il nemico aveva lasciato sul terreno alcune centinaia di caduti; 52 carri furono da esso perduti; 164 uomini tra cui 12 ufficiali, venivano catturati.
Particolarmente significativo il tributo di sangue offerto dai comandanti di battaglione e di gruppo della "Folgore": su 16 ufficiali succedutisi al comando di 9 unità, si ebbero ben 15 perdite (10 caduti e 5 feriti).
Il Generale Alexander, a proposito dei combattimenti di quei giorni, scrisse: «Si trovò che il nemico era in forze e bene appostato, pertanto non si insistette nell'attacco».
Per quanto riguarda i due raggruppamenti nei quali era articolato il 186° si è detto che l'attacco si attuò in due direzioni: da est verso ovest, prevalentemente sul fronte del settimo battaglione (raggruppamento Tantillo) ed essenzialmente condotto da fanterie.
Sul fronte dei VII battaglione l'attacco si protrasse fino al 31 ottobre, con alterne vicende, per l'intervento di nostri contrattacchi condotti con l'appoggio di carri armati. Iniziatosi con la distruzione dei nostri centri in fascia di osservazione, sovrumanamente difesisi con bombe a mano e bottiglie molotov; culminato il 26 ottobre con la costituzione da parte del nemico di una sacca al centro della posizione di resistenza del battaglione; ed infine respinto dal nostro contrattacco il 27 ottobre, con la eliminazione di tale sacca e la cattura di un maggiore, 3 capitani, 4 tenenti, 207 militari, armi e munizioni: davanti alle nostre posizioni, si contano semidistrutti, 67 mezzi corazzati nemici. Il 28 ottobre, un "parlamentario" inglese si presentava per chiedere una tregua d'armi, allo scopo di dare sepoltura ai caduti d'ambo le parti. La tregua, concessa, ha la durata di tre ore; al termine vengono scambiati i recuperati piastrini dei caduti: 50 paracadutisti, circa 150 inglesi.
Il nemico si riordina e si sistema a circa 600 metri dalle nostre linee per riprendere fra il 29 ottobre e la notte del 1 novembre i suoi sforzi condotti però, a quello che sembrava, con scarsa decisione e forse a solo scopo dimostrativo: lasciò in seguito alla nostra reazione, nelle nostre mani un'altra cinquantina di prigionieri.
Sul fronte del V battaglione il vero e proprio contatto con il nemico avvenne verso le ore 3 antimeridiane dei giorno 24 ottobre. Anche qui esso non avvenne di sorpresa, perché fin dalla mezzanotte il posto avanzato di Qaret el Himeimat aveva dato notizia che si udiva sfilare da sud-est verso nord-ovest una forte massa di mezzi meccanizzati nemici: indubbio preludio ad un attacco avvolgente contro l'ala esposta del nostro schieramento generale.
Per detta eventualità, data la natura e data anche l'esiguità delle forze disponibili, il comandante del battaglione, con il pieno consenso del comandante del reggimento, si era orientato al seguente concetto: ridurre all'estremo uomini e mezzi dislocati ai piedi delle propaggini sud del ciglione di Munaquir el Daba, sovrastante la depressione salata, a sorveglianza del campo minato ivi esistente e col compito preciso di disorientare con la loro azione il nemico dando nel contempo un sicuro allarme al comando; di reagire in alto con l'immediato contrattacco contro le fanterie nemiche che si fossero affacciate da sud sull'altopiano (prive ormai dell'appoggio dei mezzi corazzati, necessariamente attardati dalla natura impervia degli accessi) cogliendole così di sorpresa, quando avrebbero creduto di aver raggiunto con estrema facilità il successo. A tale scopo il Comandante di battaglione, dopo aver sottratto e riunito tutti gli uomini non strettamente necessari al servizio delle armi, disponeva di circa 3 plotoni appoggiati da alcuni mortai. Da parte sua il comando di reggimento dislocato come detto poche centinaia di metri a nord di Naqb Rala, armando con personale di fortuna alcuni pezzi anticarro da 47/32 (giunti senza personale nella giornata del 23) aveva disposto uno sbarramento prudenziale, fronte a sud della gola di Naqb Rala; aveva un pugno di uomini composto dagli elementi del plotone collegamenti e del comando; aveva predisposto per l'afflusso (qualora le vicende dell'azione l'avessero reso necessario e possibile) degli uomini dei centri arretrati viciniori del VI battaglione dislocati nella piana: perché, ove si fosse giunti a quegli estremi, egli giudicava di dovere giocare tutto per tutto.
L'azione nemica contro il fianco destro del battaglione si risolse rapidamente e nella maniera più brillante per noi: gli scoppi di alcune mine e il divampare improvviso breve ed intenso del fuoco delle mitragliatrici, il lancio delle bombe a mano da parte degli elementi di osservazione in basso, avverte che il contatto era avvenuto ai piedi del Ciglione Sud di Munaquir el Daba e che sarebbe stato imminente l'affacciarsi sull'Altopiano di Naqb Rala delle fanterie nemiche. Il Comandante di battaglione articolò il rincalzo in due aliquote per l'azione sul fianco destro e nel fronte degli attaccanti; il comandante di reggimento con il modestissimo reparto di formazione si avviò verso il comando del Quinto battaglione. Ma il suo intervento non fu necessario; il V battaglione risolse coi suoi mezzi la situazione. Non appena, nell'incerto chiarore antelucano vede dilagare in silenzio sul pianoro le fanterie nemiche, riconoscibili per il caratteristico elmetto, il Comandante del battaglione fa scatenare su di esse alcune celerissime salve di mortai e raffiche di mitragliatrici pesanti ed al grido di Savoia, Viva l'Italia, "Folgore", dà il segnale del contrassalto: si gettano nella mischia anche i serventi della compagnia mortai. Il nemico si arresta, tenta di resistere ma viene travolto ed incalzato, fino a che l'ultimo uomo non ha sgombrato il pianoro, ridiscendendo le pendici sud di Munaquir el Daba. Il Comandante del battaglione, il suo Vice Comandante, il Comandante della compagnia mortai, ed altri ufficiali sono feriti, sensibili sono nel complesso le perdite che hanno costituito il prezzo del successo. Ma sul fronte del V battaglione il nemico non compie nessun altro attacco.
Fra il VII e il V è schierato il VI; questo non subisce alcun serio tentativo di rottura, ma sopporta notevoli perdite per le azioni di bombardamento e nelle azioni di pattuglia che si sviluppano, particolarmente attive, verso il tratto tenuto dal VII, a protezione del proprio fianco sinistro.
Con la fine di ottobre tutto sembra avviarsi ad una relativa calma. Il nemico è stato respinto, ma le perdite complessive subite specie nei quadri, sono state gravissime: Per il 186° Reggimento sono caduti il Vice Comandante del reggimento (Tenente Colonnello Ruspoli), il comandante del VI battaglione (Maggiore Bergonzi) ed alcuni comandanti di compagnia; sono rimasti feriti fra gli altri il comandante del V battaglione (Maggiore Izzo), l'aiutante maggiore in 1° del reggimento (Capitano Maggiulli), il Capitano medico Guberti.
I comandi dei battaglioni V e VI sono tenuti da capitani appena promossi, le compagnie in gran prevalenza sono comandate da sottotenenti di complemento o da sottufficiali; la forza dei reparti è ridotta a pochi uomini. Ma il rimpianto per la perdita di tanti e tanti compagni d'arma è virile; lungi dal reprimere gli animi, esalta in tutti l'orgogliosa fierezza di avere ovunque respinto il nemico combattendo strenuamente. La situazione generale impose al comando di Armata di ordinare l'arretramento di tutto il fronte: l'ordine al 186° fu portato dal Vice Comandante della Divisione Generale Bignami alle ore 21,30 del 1 novembre: esecuzione immediata; nuova linea di schieramento da assumersi per l'alba del 2 novembre: Rain Pool-Karet el Kadim; divieto di operare distruzioni che comunque potessero svelare il movimento al nemico; mezzi di trasporto a disposizione per il traino dei pezzi e per il carico di almeno parte delle riserve di munizioni; viveri ed acqua (che erano state accumulate in vista di strenua resistenza in posto) nessuno...
Tutti si resero conto che cominciava, per il reggimento e per la divisione la più dolorosa vicenda; ma tutti erano decisi a far si che questa diventasse anche la più gloriosa e restasse leggendaria. La ritirata nel deserto.
La BBC inglese a battaglia conclusa, l'11 novembre così commenta: "I resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane".
La ritirata
La battaglia è ormai vinta per gli inglesi e la via è aperta ai loro carri armati per inseguire il nemico attraverso il deserto ormai sgombro di ostacoli. Rommel si trova ormai in piena ritirata, ma vi sono mezzi di trasporto e carburante sufficienti soltanto per una parte delle sue truppe e i tedeschi si arrogano la precedenza nell’uso degli automezzi. Parecchie migliaia di uomini appartenenti alle sei divisioni italiane sono così abbandonate in pieno deserto con poca acqua e poco cibo, e senz’altra prospettiva che quella di essere circondati e spediti nei campi di concentramento.
Il campo di battaglia è seminato di carri armati distrutti o inutilizzabili, di cannoni e di automezzi abbandonati. L’aviazione tedesca ha rinunciato alla disperata impresa di contrastare la superiorità aerea della RAF, così che l' aviazione inglese operava pressoché indisturbata, attaccando senza tregua con tutte le sue forze le lunghe colonne di uomini e di automezzi che fuggono verso ovest. La ritirata sarà un altro capolavoro del feldmaresciallo, perché nonostante la sconfitta subita Montgomery non riuscirà ad accerchiarlo e a distruggere definitivamente l'Afrika Korps.
Tuttavia, al termine della battaglia quattro divisioni germaniche e otto italiane hanno cessato di esistere come unità combattenti. Gli inglesi catturarono 30.000 prigionieri con enormi quantità di materiale d’ogni genere. Comincia qui l'odissea dei 70mila superstiti della battaglia di El Alamein: 3.400 chilometri nel deserto, invano inseguiti dal nemico fino alla Tunisia. Superstiti e caduti, entrano, inevitabilmente, nella leggenda, ricordati non solo dalla propria Patria, ma anche dallo stesso nemico.
Citazioni sull'Eroicità della Folgore nella Battaglia di El Alamein
Nino Arena, dal Libro “FOLGORE”
“Non un solo drappo bianco. Nessun uomo ha alzato le braccia. 32 ufficiali e 272 paracadutisti, feriti e stremati, erano ancora nei ranghi, con le armi in pugno, in piedi, quando il nemico li ha catturati. Privi di acqua e rifornimenti da sette giorni, e senza munizioni, e dopo avere risposto con l’ennesimo “FOLGORE!” agli inviti ad arrendersi con le braccia alzate.”
Inviato inglese di Radio Cairo, Hearth Brighton, 9 settembre 1942
“Gli italiani si sono battuti molto bene. La Divisione Paracadutisti Folgore, in particolare, ha resistito oltre ogni possibile capacita’ umana ed oltre ogni possibile speranza”.
Agenzia Reuter, Londra, 11 novembre 1942
“Ammirevole lo slancio ed il coraggio dei Paracadutisti Italiani della Divisione Folgore”
BBC, 3 dicembre 1942
"Gli ultimi superstiti della Folgore sono stati raccolti, esanimi e con le armi in pugno. Nessuno si e’ arreso. Nessuno si e’ fatto disarmare."
Onorificenze
Medaglia d'Oro al Valor Militare Bandiera di Guerra del 185° Reggimento Artiglieria Paracadutisti "Folgore "
Reggimento artiglieria paracadutisti della gloriosa Divisione "Folgore" in unione alle aliquote divisionali ad esso assegnate, per tre mesi, senza soste, si prodigò valorosamente in numerose azioni offensive e difensive stroncando sempre l’impetuosa avanzata del nemico enormemente superiore per numero e per mezzi. Nell’epica battaglia di El Alamein, stremato per le perdite subite, cessato ogni rifornimento di acqua, viveri e munizioni, con la fede che solo il più sublime amor di Patria può generare, respingeva sdegnosamente, al grido di "Folgore" ripetuti inviti alla resa, dimostrando in tal modo che la superiorità dei mezzi poteva soverchiare i paracadutisti d’Italia, piegarli mai. Attraverso innumerevoli episodi d’eroismo collettivi ed individuali, protraeva la resistenza fino al totale esaurimento di ogni mezzo di lotta imponendosi al rispetto ed all’ammirazione dello stesso nemico, scrivendo così una delle pagine più fulgide di valore per l’Esercito italiano.
Africa Settentrionale, 22 luglio - 12 ottobre 1942; Battaglia di El Alamein, 23 ottobre - 6 novembre 1942.
Medaglia d'Oro al Valor Militare Bandiera di Guerra del 186° Reggimento Paracadutisti "Folgore"
Reggimento paracadutisti della gloriosa Divisione “Folgore”, in unione alle aliquote divisionali ad esso assegnate, per tre mesi, senza soste, si prodigò valorosamente in numerose azioni offensive e difensive stroncando sempre l’impetuosa avanzata del nemico enormemente superiore per numero e per mezzi. Nell’epica battaglia di El Alamein, stremato per le perdite subite, cessato ogni rifornimento di acqua, viveri e munizioni, con la fede che solo il più sublime amor di Patria può generare, respingeva sdegnosamente, al grido di "Folgore" ripetuti inviti alla resa, dimostrando in tal modo che la superiorità dei mezzi poteva soverchiare i paracadutisti d’italia, piegarli mai. Attraverso innumerevoli episodi d’eroismo collettivi ed individuali, protraeva la resistenza tino al totale esaurimento di ogni mezzo di lotta imponendosi al rispetto ed all’ammirazione dello stesso nemico, scrivendo così una delle pagine più fulgide di valore per l’Esercito italiano.
Africa Settentrionale, 22 luglio - 12 ottobre 1942; Battaglia di El Alamein, 23 ottobre - 6 novembre 1942.
Medaglia d'Oro al Valor Militare Bandiera di Guerra del 187° Reggimento Paracadutisti "Folgore"
Reggimento paracadutisti della gloriosa Divisione “Folgore”, in unione alle aliquote divisionali ad esso assegnate, per tre mesi, senza soste, si prodigò valorosamente in numerose azioni offensive e difensive stroncando sempre l’impetuosa avanzata del nemico enormemente superiore per numero e per mezzi. Nell’epica battaglia di El Alamein, stremato per le perdite subite, cessato ogni rifornimento di acqua, viveri e munizioni, con la fede che solo il più sublime amor di Patria può generare, respingeva sdegnosamente, al grido di "Folgore" ripetuti inviti alla resa, dimostrando in tal modo che la superiorità dei mezzi poteva soverchiare i paracadutisti d’italia, piegarli mai. Attraverso innumerevoli episodi d’eroismo collettivi ed individuali, protraeva la resistenza fino al totale esaurimento di ogni mezzo di lotta imponendosi al rispetto ed all’ammirazione dello stesso nemico, scrivendo cosi’ una delle pagine più fulgide di valore per l’Esercito italiano.
Africa Settentrionale, 22 luglio - 12 ottobre 1942; Battaglia di El Alamein, 23 ottobre - 6 novembre 1942.
Altre Onoreficenze alla Bandiera di Guerra:
- 1° Battaglione Carabinieri e 183° Reggimento "Nembo": 2 Medaglie d'argento
- 183° Reggimento "Nembo": 1 Medaglia di bronzo
- 184° Reggimento "Nembo": 1 Croce di guerra
Onoreficenze Individuali:
- 6 Ordini Militari d'Italia
- 62 Medaglie d'Oro
- 424 Medaglie di Bronzo
- 536 Croci di Guerra
Fra le sabbie non più deserte son qui di presidio per l'eternità i ragazzi della Folgore fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi.
Ten. Col. Giovanni Alberto Bechi Luserna, Capo di Stato Maggiore Divisione Paracadutisti "Nembo"
Caduti per un'idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dello stesso nemico, essi additano agli italiani, nella buona e nell'avversa fortuna, il cammino dell'onore e della gloria.
Viandante, arrestati e riverisci.
Dio degli Eserciti, accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell'angolo di cielo che riserbi ai martiri ed agli Eroi.