Intervista del 1999, Tratta da RAIDS, di Giampiero Cannella
Chi non dimenticherà il 2 luglio del 1993 è Gianfranco Paglia. Sottotenente della Folgore, 186° Reggimento Paracadutisti, a soli 23 anni, quel giorno fu protagonista di almeno due azioni. I suoi commilitoni erano in pericolo e lui non esitò un attimo a lanciarsi nella mischia.
Per il suo comportamento in battaglia è stato insignito della Medaglia d'Oro al Valor Militare.
Tre pallottole somale lo ferirono gravemente: Al polso, al polmone, alla colonna vertebrale. È stato in bilico tra la vita e la morte, ce l'ha fatta anche se le lesioni al midollo spinale hanno lasciato il segno.
Ma non ha abbandonato la carriera militare. Adesso è in forza alla brigata GARIBALDI, di stanza a Caserta, si occupa della pianificazione di operazioni ed esercitazioni; durante il tempo libero è impegnato nel volontariato presso una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Combatte per riconquistare la posizione eretta. Sotto gli occhi della sorellina Manuela, che non lo lascia un attimo, risponde volentieri alle nostre domande.
- Che cosa accadde quel giorno a Mogadiscio?
"Era un rastrellamento come tanti, cercavamo i depositi clandestini di armi, all'improvviso è successo di tutto. Prima sono apparsi le donne e i bambini che ci insultavano e lanciavano i sassi, l'imboscata dei miliziani."
- Ve lo aspettavate?
"No. Certo sapevamo che correvamo dei rischi. Imporre la pace a due fazioni che si sparano non è facile né indolore; ma in ambito UNOSOM eravamo il contingente più apprezzato. Diciamo che eravamo i più "diplomatici", i più umani. I rapporti con i somali erano ottimi, date le condizioni. Gli italiani erano, in teoria, quelli che meno avevano da temere. Il nostro comportamento era sempre stato corretto, all'insegna del "severi ma giusti".
- Come sei stato coinvolto nello scontro?
"Noi del Raggruppamento BRAVO avevamo finito il nostro lavoro ed eravamo già vicini a Balad. Ci hanno chiamato via radio per dirci che c'erano dei problemi a PASTA. Abbiamo invertito la marcia e siamo tornati indietro, fino al posto di blocco. Qui abbiamo trovato l'inferno."
- Siete arrivati nel mezzo della battaglia…
"Si, vi erano barricate da tutte le parti. La Via Imperiale era interrotta e i somali ci sparavano addosso. Siamo scesi dai mezzi per rimuovere gli ostacoli e utilizzare meglio le armi individuali. Poi la tragedia. Un razzo controcampo ha colpito il VCC che precedeva il mio, uccidendo Pasquale Baccaro e ferendo gravemente Giampiero e Massimiliano (Monti e Zaniolo, Ndr). Allora siamo intervenuti per tirarli fuori dal blindato e proteggerli dall'attacco dei somali."
- Il tutto è avvenuto sotto il fuoco nemico?
"Sì."
- Come avete reagito?
"C'erano molti militari di leva e in ogni caso, era una situazione mai verificatasi prima, se non in esercitazione... Era il "battesimo del fuoco" per tutti noi. È stata una esperienza che non dimenticherò facilmente. I feriti appena usciti dal VCC erano sotto choc. Subire l'esplosione di una granata c/c, in uno spazio ristretto come quello, non è uno scherzo. Non è facile reagire in quelle condizioni. Non tutti hanno la stessa presenza di spirito, è umano. Nei film o in esercitazione è tutto diverso. Essere sotto il fuoco nemico o sparare contro bersagli reali non è come colpire una sagoma. Comunque, complessivamente hanno operato tutti molto bene. Io ho avuto la medaglia d'Oro, ma sono tanti quelli che meriterebbero un riconoscimento maggiore."
- Ad esempio?
"Il Tenente Romeo Carbonetti non ha esitato a rischiare la sua vita per proteggere gli altri. Ha piazzato il suo VCC ad un incrocio stradale, a pochi passi da me e dal mezzo colpito. Era allo scoperto ma quella posizione gli garantiva un'ottima visuale. Ha fatto fuoco con la mitragliatrice impedendo ai miliziani di avvicinarsi. Giovanni Bozzini poi, era sul mezzo di Baccaro, è rimasto li a sparare, ho soccorso Giampiero che perdeva molto sangue. Cito soltanto loro, ma idealmente mi riferisco a tutti quanti."
- Poi cosa è successo?
"Abbiamo rimesso in moto il VCC colpito, ci siamo disimpegnati e siamo andati a FERRO, per portare i feriti al sicuro. Da lì abbiamo deciso di tornare in zona d'operazione."
- Deciso autonomamente?
"Già. Sai, ci sono cose che fai senza pensarci su due volte. La mia compagnia era ancora sotto il tiro dei ribelli, lì c'erano i miei commilitoni, il mio capitano… Non pensi a te stesso, sei troppo coinvolto. Se credi in quello che fai, nei valori che stanno alla base della tua missione, non hai esitazioni. Ti sei addestrato mille volte per fare certe cose, è automatico."
- Allora?
"Abbiamo organizzato una colonna, tre VCC e un Centauro. Con noi c'erano due mezzi del Tuscanica. Ci siamo trovati di fronte all'ennesimo ostacolo, una barricata. Ancora una volta sotto il fuoco nemico. Siamo riusciti a superare la barriera eretta dai miliziani, mentre coordinavamo l'operazione siamo stati colpiti, sia io che Millevoi."
- Contemporaneamente?
"Questo non lo ricordo. Ricordo di aver visto Andrea Millevoi sporgersi dalla torretta per dirigere meglio l'operazione; mi sono spinto fuori anche io, poi sono giunti altri colpi di kalashnikov. Mi sono accasciato dentro al VCC. Il mio pilota e l'equipaggi sono stati bravissimi. Sono riusciti a portarmi in tempo record a FERRO. Da lì un elicottero italiano mi ha trasferito all'ospedale militare statunitense. I medici pensavano che non ce l'avrei fatta, e , invece ho avuto una reazione inaspettata e oggi sono qui."
- Ripensando a quei momenti, alle conseguenze, ti sei mai detto "chi me lo ha fatto fare?"
"Mai. Mi sono arruolato volontario nella FOLGORE, e sapevo cosa significava. Sono andato in Somalia sempre da volontario. Ho fatto quello che ritenevo giusto. È stata una esperienza di vita incredibile, la nostra presenza lì è stata vitale per tanta gente. Eravamo in missione umanitaria e abbiamo dato veramente la speranza a chi l'aveva perduta. Gli italiani hanno distribuito cibo, curato malati - che altrimenti sarebbero morti - costruito scuole. Altro che torture."
- Già il "Somaliagate". Le due commissioni d'inchiesta hanno assolto i generali Loi e Fiore. Era tutta una bufala?
"Fortunatamente è stata ristabilita la verità. Qualcuno ha voluto speculare montando una vicenda inverosimile. Torture, violenze, maltrattamenti. I militari dell'Operazione IBIS si sono comportati sempre con grande correttezza. Eravamo truppe di pace ma praticamente in zona di guerra. Abbiamo sempre rispettato le regole d'ingaggio e le prescrizioni delle Nazioni Unite. Il castello di accuse, infatti, non ha retto a un'indagine approfondita. "
- Dopo la Somalia, la Bosnia…
"Anche quella è stata una avventura indimenticabile. Devo ringraziare il comandante della GARIBALDI, il Generale Del Vecchio, che mi ha dato la possibilità di andare a Sarajevo nel periodo delle elezioni. Ho riassaporato il gusto della vita "operativa". I soldati italiani stanno facendo un ottimo lavoro e nella capitale bosniaca ho assistito anche a un evento di grande significato. La voglia di pace si è manifestata in occasione del concerto degli U2, con ragazzi provenienti da tutta l'ex Jugoslavia. La forza di pace italiana sta lavorando molto bene, nonostante in patria siano spesso attaccati dai ingiustamente dai troppi che non li hanno mai amati. Per questo è giusto che l'Italia non si dimentichi di chi si è sacrificato e si sacrifica per degli ideali, per una bandiera, facendo fino in fondo il lavoro assegnato. Anche per questo i caduti delle missioni IBIS e quelli nella ex Jugoslavia non possono essere dimenticati dal Paese per il quale sono morti."
Medaglia d'oro al valor militare a Gianfranco Paglia
Comandante di plotone paracadutisti, inquadrato nel contingente italiano inviato in Somalia nell'ambito dell'operazione umanitaria voluta dalle Nazioni Unite, partecipava con il 183º Reggimento paracadutisti "Nembo" al rastrellamento di un quartiere di Mogadiscio. Nel corso dei successivi combattimenti, proditoriamente provocati dai miliziani somali, con perizia ed intelligenza concorreva con le forze alle sue dipendenze allo sganciamento di alcuni carri rimasti intrappolati nell'abitato. Dopo aver sgomberato con il proprio veicolo corazzato alcuni militari feriti, di propria iniziativa si riportava nella zona del combattimento e, incurante dell'incessante fuoco nemico, coordinava l'azione dei propri uomini, contrastando con l'armamento di bordo l'attacco nemico. Per conferire più efficacia alla sua azione di fuoco si sporgeva con l'intero busto fuori dal mezzo esponendosi al tiro dei cecchini che lo colpivano ripetutamente. Soccorso e trasferito presso una struttura sanitaria di Mogadiscio, reagiva con sereno e virile comportamento alla notizia che le lesioni riportate gli avevano procurato menomazioni permanenti. Chiarissimo esempio di altruismo, coraggio, altissimo senso del dovere e saldezza d'animo
Mogadiscio, 2 luglio 1993