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USA: per trattenere i migliori, l’Esercito deve smettere di gestirli come numeri

Anche gli USA dicono basta: il soldato non è un numero - brigatafolgore.net

Nel novembre scorso, l’Esercito degli Stati Uniti ha recapitato un inatteso “regalo di Natale” anticipato a 800 sottufficiali: un ordine d’immediato trasferimento alla scuola reclutamento di Fort Knox per otto settimane, con appena pochi giorni di preavviso. Nessuno aveva chiesto loro se ciò fosse compatibile con le esigenze delle famiglie, con i progetti di carriera o con le priorità operative delle unità di provenienza. Dopo il corso, sarebbero stati mandati a operare come reclutatori in località spesso remote, causando licenziamenti forzati dei coniugi e trasferimenti scolastici in pieno anno accademico per i figli.

Questo episodio, che ha fatto infuriare molti degli interessati, è sintomatico di una crisi più ampia: quella di un sistema del personale rigido, centralizzato e impersonale che considera i soldati come pedine intercambiabili. Ma soprattutto, è il segnale che anche la più potente forza armata del mondo sta iniziando a mettere in discussione il proprio modello di gestione del personale. Perché il vero problema, dicono ormai anche molti analisti americani, non è tanto “come aumentare i reclutamenti”, quanto “perché non riusciamo a trattenere chi è già dentro”.

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Anche gli USA dicono basta: il soldato non è un numero – brigatafolgore.net

Un sistema pensato per un altro secolo

Il sistema attuale dell’esercito statunitense nasce negli anni ’40, durante la transizione verso un esercito di massa basato sulla leva obbligatoria. Per rendere gestibile il flusso di soldati a breve termine, fu adottato un modello centralizzato fondato su gestione scientifica, carriere standardizzate, valutazioni competitive e il principio dell’“up or out” – promozione obbligata o esclusione. Un sistema efficiente per gestire milioni di coscritti, ma disumanizzante.

Con l’introduzione della Forza Volontaria Totale (All-Volunteer Force) nel 1973, si sperava in un ritorno a un modello di lungo termine: meno turn-over, più fedeltà, maggiore qualità. Ma il sistema gestionale restò immutato. Nonostante l’aumento delle retribuzioni, il tasso di abbandono non diminuì. Oggi, l’esercito statunitense ha bisogno di 470.000 nuovi arruolamenti all’anno per mantenere i ranghi, più di quanto previsto con il modello volontario. Un paradosso che ha portato a una crisi di reclutamento: nel 2023, l’obiettivo annuale è stato mancato del 10%, dopo un clamoroso -25% nel 2022.

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La fine delle stampelle sociali

A peggiorare la situazione, la fine di alcuni fattori “strutturali” che per decenni avevano sorretto la Forza Volontaria. La stagnazione salariale e la mancanza di opportunità per alcune categorie – in particolare per i neri americani e per la popolazione del Sud – avevano reso l’arruolamento una scelta competitiva. Ma oggi l’economia ha recuperato, le opportunità si sono diversificate e il tradizionale bacino di reclute si è ridotto.

Un altro fattore cruciale è la fine della “spinta patriottica” post-11 settembre. Dopo il ritiro dall’Afghanistan, nel 2021, il senso di missione legato alle guerre si è affievolito. Solo il 9% dei giovani tra i 16 e i 21 anni si dice disposto a prendere in considerazione una carriera militare. E secondo sondaggi interni, solo il 53% dei soldati raccomanderebbe l’arruolamento a una persona cara.

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Un problema culturale, non solo numerico

Il malessere non è solo una questione di numeri. È culturale. La logica del “tutti sostituibili”, le valutazioni competitive tra pari, i trasferimenti continui imposti dall’alto e la mancanza di stabilità stanno erodendo la coesione e il senso di appartenenza.

È qui che entra in gioco la proposta – sempre più discussa – di un ritorno a un modello decentralizzato, umano e professionale. Un modello basato su permanenze di lungo termine, carriere flessibili e assegnazioni territoriali stabili, simile al sistema reggimentale ancora in uso negli eserciti britannico e canadese. Questi eserciti, non a caso, hanno tassi di suicidio più bassi e tassi di abbandono inferiori rispetto a quello americano.

Il ritorno alla coesione

Il sistema attuale frammenta i rapporti umani e professionali. I soldati si spostano di continuo, non conoscono i propri comandanti, non costruiscono legami duraturi. Questo non solo mina la motivazione, ma incide anche sull’efficienza operativa. Un plotone che lavora insieme per anni sarà più coeso, più preparato e più efficace.

Le carriere, nel modello pre-1940, erano flessibili e orientate alla missione. Ufficiali come Matthew Ridgeway passarono anni in incarichi “non convenzionali” (insegnamento, missioni estere, pianificazione strategica), sviluppando competenze diversificate e visione strategica. Oggi, carriere del genere sono quasi impossibili, schiacciate da una logica di avanzamento rigido e burocratico.

Decentralizzare per umanizzare

Una svolta potrebbe essere rappresentata dall’adozione di un sistema divisionale, in cui ogni divisione gestisce in autonomia il proprio personale: assunzioni, promozioni, incarichi speciali come istruttori e reclutatori. Così si crea responsabilità diretta, si sviluppa il senso di comunità e si incentivano percorsi di crescita reale.

Inoltre, si potrebbe finalmente abbandonare il sistema di valutazione competitiva introdotto nel dopoguerra. Studi e aziende private dimostrano che questo modello abbassa la produttività, genera cinismo e inibisce la cooperazione. La promozione potrebbe tornare a essere decisa localmente, sulla base di una conoscenza diretta della persona, non di una casella da spuntare.

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Anche la famiglia vuole la sua parte

Un altro elemento non trascurabile è il peso che la carriera militare ha sulle famiglie. Oggi quasi il 50% delle mogli dei militari guadagna quanto o più del coniuge, ma il tasso di disoccupazione delle mogli di militari è triplo rispetto alla media. In un sondaggio del 2021, quasi la metà dei soldati ha indicato l’impatto negativo della vita militare sulla carriera del partner come una delle principali ragioni per abbandonare l’esercito.

Stabilizzare le assegnazioni, evitare trasferimenti continui e valorizzare la permanenza in una stessa sede aiuterebbe a costruire famiglie più solide, carriere più durature e un esercito più attrattivo.

Un prodotto migliore si vende da solo

Il reclutamento funziona quando il “prodotto” è buono. Se l’esperienza militare è arricchente, umana, professionale e stabile, non c’è bisogno di campagne pubblicitarie milionarie per attirare nuovi soldati. Come dice un vecchio detto: un buon prodotto si vende da solo. Ed è proprio questa la lezione che anche l’Esercito degli Stati Uniti sta iniziando a imparare.

Il tempo degli eserciti di massa, impersonali e burocratici è finito. Il futuro – anche in America – passa da un ritorno al soldato come professionista, come persona, come essere umano.

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Al secolo Alessandro Generotti, C.le magg. Paracadutista in congedo. Brevetto Paracadutista Militare nº 192806. 186º RGT Par. Folgore/5º BTG. Par. El Alamein/XIII Cp. Par. Condor.
Fondatore e amministratore del sito web BRIGATAFOLGORE.NET. Blogger e informatico di professione.

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