30 Aprile 1941, l’impresa pioneristica tutta Italiana: il primo lancio di guerra dei nostri Paracadutisti

«La Patria chiama, i Paracadutisti rispondono presente». Con queste parole non scritte, ma scolpite nel cuore di ogni Paracadutista, prende forma una delle operazioni più straordinarie — e troppo spesso dimenticate — della storia militare italiana: il primo lancio di guerra dei Paracadutisti Italiani, avvenuto esattamente 84 anni fa, il 30 aprile 1941, sull’isola greca di Cefalonia.
Un’operazione audace che avrebbe portato in poche ore all’occupazione di Cefalonia, Zante e Itaca, rafforzando la presenza italiana nel Mar Ionio e aprendo una nuova era per la neonata specialità. Un evento che il tempo ha talvolta ignorato o sminuito, ma che per chi conserva la memoria resta un simbolo di ardimento, organizzaione interforze e valore militare assoluto, in un’epoca pionieristica per la specialità dei Paracadutisti.

Il contesto storico e l’urgenza dell’azione
Il 10 giugno 1940, l’Italia entra formalmente in guerra, dando inizio alla sua partecipazione al secondo conflitto mondiale. Sin da subito, le forze italiane sono impegnate su più fronti: in Africa orientale e settentrionale, e sulle Alpi contro la Francia.
Il 29 aprile 1941, viene firmato l’armistizio con la Grecia, ma la situazione geopolitica richiede interventi rapidi per evitare che il controllo totale dell’area finisca in mani tedesche. Il giorno precedente, cinque idrovolanti Cant Z.506 agli ordini del Colonnello Grande avevano trasportato un reparto italiano a Corfù, dove un reggimento greco si era arreso. Poco dopo, il I Battaglione del 17º Reggimento Fanteria della Divisione “Acqui” sbarcava sull’isola consolidando l’occupazione.
Rimaneva però una questione aperta: Cefalonia. In quel momento, secondo la prassi internazionale, i territori spettano a chi li occupa militarmente. Era dunque cruciale muoversi con rapidità per garantire una presenza italiana sull’isola, strategicamente fondamentale.
La scelta ricadde su una delle più giovani ma promettenti specialità del Regio Esercito: i Paracadutisti. Lo Stato italiano aveva investito molto nella formazione di queste truppe d’élite, e ora era giunto il momento di metterle alla prova in un vero teatro di guerra.
I Balcani rappresentano un nodo strategico cruciale: controllare quest’area significa dominare l’accesso al Canale di Corinto, influenzare le rotte marittime verso il Mediterraneo orientale e proteggere il fianco sud dell’Asse. In quest’ottica, Cefalonia assume un’importanza primaria: la sua conquista, oltre a garantire una posizione tattica favorevole, avrebbe dimostrato la prontezza e l’efficacia delle neonate aviotruppe italiane, in quella che sarà la prima operazione interforze della storia militare nazionale, congiunta tra Aeronautica, Marina ed Esercito.

La corsa contro il tempo
Secondo le minute conservate agli Archivi dello Stato Maggiore, l’operazione viene pianificata in pochissimi giorni, tra il 25 e il 27 aprile. La sera del 28 aprile, mentre i Paracadutisti del II Battaglione sono in libera uscita nei bar di Civitavecchia, un ordine urgente li richiama in caserma. Il Maggiore Mario Zanninovich, comandante del IIº Battaglione (poi confluto nel 187º Reggimento della Divisione Folgore), è convocato d’urgenza alla Caserma Piave, dove ad attenderlo trova il Generale Frattini: il battaglione è destinato al primo lancio di guerra della storia italiana. È l’inizio di una corsa contro il tempo.
Il 29 aprile, la Caserma Piave di Civitavecchia si trasforma in un vero e proprio alveare operativo. Armi, munizioni, viveri, paracadute IFSP 41 SP e altro materiale arrivano dalla vicina Scuola di Paracadutismo di Tarquinia e vengono rapidamente predisposti per l’imminente operazione. I paracadutisti sono equipaggiati con il Moschetto 91 dotato di baionetta ripiegabile, i MAB 38 per i comandanti di squadra, e la mitragliatrice Breda 30 come arma di reparto.
Le compagnie selezionate sono la Quinta, al comando del Capitano Avogadro, e la Sesta, comandata dal Capitano Macchiato. A mezzanotte del 29 aprile, il battaglione lascia la stazione di Civitavecchia diretto verso Lecce.
Solo durante il viaggio in treno i paracadutisti ricevono l’informazione definitiva: l’obiettivo è Cefalonia.
Giunti all’aeroporto di Galatina, ad attenderli ci sono tre Savoia-Marchetti SM-82 (inizialmente ne erano previsti sei). Per questo motivo si decide che sarà la Quinta Compagnia a effettuare il lancio, mentre la Sesta rimarrà di rincalzo. In tutta fretta, i velivoli vengono adattati e ottimizzati per l’aviolancio: la fune di vincolo viene accorciata da 5 a 3 metri, e si procede con un lancio di prova.
Al momento dell’imbarco viene consegnata al Maggiore Zanninovich una bandiera del Regno d’Italia, affidatagli dal Colonnello Baudoin — pilota, paracadutista, e considerato il padre spirituale dei giovani Paracadutisti che aveva personalmente formato a Tarquinia. Quella bandiera sarà issata sulla Prefettura di Argostoli dopo la conquista dell’isola.
Per Baudoin, è un momento carico di emozione: finalmente i “suoi” ragazzii vengono impiegati per ciò per cui si erano duramente addestrati a Tarquinia — una vera operazione di guerra con aviolancio.

30 aprile, ore 12:30: la storia decolla
Tre SM-82 decollano da Galatina scortati da bombardieri Cant Z1007 e caccia Macchi M.C.202. A bordo, 72 Paracadutisti pronti a entrare nella leggenda. Dopo un’ora di volo, giungono sulla Zona Lancio “Krameta”, nei pressi di Argostoli. Il rombo degli aerei sovrasta il silenzio dell’isola. Quando si accende la luce verde, gli ufficiali si lanciano per primi. È la tradizione paracadutista: l’esempio viene dai gradi più alti. La quota è bassa, circa 300 metri, il vento e la velocità forti, ma nulla può fermarli. La voglia di essere protagonisti in un momento tanto atteso supera qualsiasi difficoltà.
Il cielo si riempie di cupole bianche. I Paracadutisti italiani atterrano. Alcuni tra olivi e muretti a secco, riunendosi subito in plotoni e procedendo a prendere le posizioni sulle colline.

La resa greca e la bonifica del centro abitato
I gendarmi greci, colti di sorpresa dall’arrivo degli italiani, si arresero immediatamente senza opporre resistenza. Giunti nell’abitato, i paracadutisti videro sventolare bandiere bianche come segno di resa. Procedettero quindi alla bonifica dell’area urbana, controllando casa per casa, con particolare attenzione agli edifici con porte o persiane chiuse. Durante le operazioni requisirono un autobus per agevolare gli spostamenti nel centro abitato. Completata la bonifica, si diressero verso la prefettura di Argostoli, dove si ricongiunsero con i reparti italiani sbarcati via mare nella baia.

Il Tricolore sventola su Cefalonia
Intorno alle 14:30, cinque idrovolanti Cant Z506 ammararono davanti al porto, trasportando personale della Regia Marina, della Regia Aeronautica e delle Camicie Nere. Si trattava delle forze di completamento dell’occupazione. Tra loro vi erano ufficiali del Corpo d’Armata di Bari e il Console Giovanni Battista Cagnoni, incaricati di formalizzare la resa della città. Nel frattempo, i paracadutisti si diressero verso la prefettura di Argostoli, dove si ricongiunsero con i reparti italiani sbarcati via mare. Con i reparti schierati nel piazzale adiacente la prefettura, venne issato il Tricolore italiano, consegnato dal Colonnello Baudoin al Maggiore Mario Zanninovich durante l’imbarco a Galatina.

Una missione di guerra, ma anche di umanità
I Paracadutisti italiani, una volta consolidate le posizioni, occuparono rapidamente i punti strategici dell’isola: il porto, gli ospedali, la centrale elettrica, la stazione telegrafica e le carceri. Ma presto si resero conto di una realtà drammatica: la popolazione civile era allo stremo, priva di viveri essenziali e di medicinali. Su ordine degli Ufficiali italiani, vennero effettuati aviorifornimenti umanitari, con lanci di farina, riso e materiale sanitario, destinati esclusivamente al sostegno della popolazione locale. Fu inoltre inviato un sacerdote per celebrare la Santa Messa e offrire conforto spirituale alla comunità cristiana del luogo.
Il giorno successivo, aliquote di militari italiani si spostarono via mare verso le isole di Zante e Itaca, completando così il controllo dell’intero arcipelago ionico.
Il Maggiore Verando, anch’egli lanciatosi a Cefalonia e destinato a diventare Capo di Stato Maggiore della Divisione “Folgore”, redasse un rapporto dettagliato che rappresenta il primo nucleo dottrinale per lo sviluppo delle future Aviotruppe italiane. Vi si analizzavano aspetti fondamentali come i tempi di uscita, la lunghezza della fune di vincolo, la quota di lancio, la gestione del vento, il materiale trasportato, il coordinamento interforze ed altro.
Certo, molto rimaneva da perfezionare — com’è naturale in un’azione militare pionieristica — ma fu proprio da quell’esperienza che prese forma concreta la nascita operativa della specialità paracadutista italiana, rivelando al contempo quanto potessero essere letali ed efficaci in azione. Un primo passo, audace e decisivo, verso l’eccellenza.

Una lezione per l’Italia e per il mondo
L’operazione su Cefalonia dimostra la rapidità, la precisione e la duttilità dei paracadutisti. In meno di tre giorni, un battaglione viene allertato, equipaggiato, trasferito e lanciato con successo in territorio ostile. Un’impresa pionieristica che ha fatto scuola e che oggi è fondamento dell’eccellenza della Folgore nella ariborne community.
Oggi, 30 aprile, i Paracadutisti del 187° Reggimento “Folgore”, che inquadra il glorioso 2° Battaglione “Tarquinia”, onorano ogni anno questa data, ricordando i volti e i nomi di chi, con stivaletti da lancio e mostrine blu con gladio ed ala, ha scritto una pagina luminose della storia militare italiana e delle aviotruppe.
Onore ai Paracadutisti di Cefalonia!
Pubblicato da Condoralex
Al secolo Alessandro Generotti, C.le magg. Paracadutista in congedo. Brevetto Paracadutista Militare nº 192806. 186º RGT Par. Folgore/5º BTG. Par. El Alamein/XIII Cp. Par. Condor.
Fondatore e amministratore del sito web BRIGATAFOLGORE.NET. Blogger e informatico di professione.