Kosovo, l’appello del Generale Paracadutista Barduani: «Serve la politica, la pace non si costruisce solo con i militari»

PRISTINA – A 26 anni dall’intervento NATO in Kosovo, il Generale di Divisione Enrico Barduani, attuale comandante della missione KFOR, lancia un appello forte e chiaro: «È tempo che la politica e la diplomazia riprendano in mano il processo di normalizzazione. La parte militare può solo accompagnare». Un invito che arriva in un momento di stallo politico e di dialogo congelato tra Pristina e Belgrado, mentre la missione NATO resta, ancora oggi, un pilastro per la sicurezza nella regione.
Nel quartier generale della KFOR, a Pristina, Barduani ha concesso un’intervista in cui ha illustrato lo stato della missione e le sfide che persistono in un territorio etnicamente frammentato. Un territorio che, nonostante le profonde ferite della guerra del 1999, mostra segni di progresso economico e sociale, ma che è ancora minacciato da tensioni identitarie e da un dialogo istituzionale al palo.

Una missione lunga e complessa
Con oltre 4.700 soldati da 33 Paesi – tra cui 1.200 italiani – KFOR rappresenta la più longeva operazione di pace dell’Alleanza Atlantica. Barduani, che ha alle spalle un’ampia esperienza operativa nei Balcani, in Afghanistan e in Libano, ha più volte ribadito ai vertici NATO che la componente militare non può sostituirsi alla diplomazia. «Per troppo tempo ci si è illusi che la stabilità potesse essere garantita solo dalla nostra presenza. Ma senza una vera volontà politica, il rischio è di restare prigionieri di un equilibrio precario».
Il Kosovo di oggi, pur segnato da forti diseguaglianze – come il divario economico tra Nord e Sud e un salario medio di appena 350 euro – appare visibilmente trasformato. Le rimesse degli emigrati hanno rilanciato edilizia e consumi, e le università sono in crescita. Tuttavia, lo scontro etnico resta acceso: il 93% della popolazione è albanese, l’8% serba, e il resto appartiene a minoranze bosniache, rom, turche ed egiziane. Un mosaico che viene strumentalizzato politicamente, rendendo fragile ogni tentativo di pacificazione.

L’appello alla comunità internazionale
Secondo Barduani, «interessi settoriali, agende economiche e la presenza della criminalità organizzata continuano a minare la fiducia reciproca tra le parti». A peggiorare la situazione, la mancanza di un reale riconoscimento tra Serbia e Kosovo, nonostante gli accordi di Bruxelles (2013) e Ohrid (2023). Per questo il Generale chiede un rinnovato impegno internazionale e una visione condivisa tra le organizzazioni multilaterali.
Per rafforzare il senso di coesione, Barduani ha coniato un motto in latino per la missione: «Unitas Omnia Vincit» – l’unità vince su tutto. Un segnale simbolico ma potente, che sottolinea la volontà di mantenere coesa la missione, anche nei momenti più complessi.
La sicurezza come prerequisito per il dialogo
KFOR, in collaborazione con EULEX e la polizia kosovara (KP), continua a garantire la stabilità e a prevenire le crisi. Lo ha fatto anche in casi critici, come l’attentato al canale idrico Ibar-Lepenac nel novembre 2023 o nella gestione di tensioni lungo la linea amministrativa tra Kosovo e Serbia. «La sicurezza – ricorda Barduani – è la base sulla quale si può costruire ogni processo politico serio».
Nel dialogo con la popolazione locale, KFOR si distingue grazie all’Italian way to peacekeeping. Un metodo basato sulla capacità empatica dei militari italiani, che attraverso gli LMT – Liaison Monitoring Team – operano quotidianamente tra la popolazione per coglierne percezioni e bisogni. «Sono i nostri sensori avanzati», li definisce il generale, strumenti fondamentali per prevenire instabilità.

Il futuro: tra normalizzazione e impegno collettivo
A preoccupare resta anche la scarsa partecipazione politica, in particolare dei serbi del Kosovo, che non si sono recati alle urne nelle elezioni di febbraio. La conseguente paralisi parlamentare ostacola ulteriormente ogni passo avanti.
Barduani conclude con una riflessione chiara: «Non possiamo ignorare che, dopo 26 anni, KFOR continua a essere percepita dal 97% della popolazione come l’istituzione più affidabile. Ma non possiamo restare da soli. Serve una diplomazia coraggiosa e una politica più responsabile per superare questo stallo e restituire piena speranza al popolo kosovaro».
Born Alessandro Generotti, C.le Maj. Parachutist on leave. Military Parachutist Patent no. 192806. 186th RGT Par. Folgore/5th BTG. Par. El Alamein/XIII Cp. Par. Condor.
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