Perché non è un problema democratico parlare di Difesa nelle scuole: risposta a chi critica la presenza delle Forze Armate nell’educazione civica - brigatafolgore.net
Fanpage ha pubblicato oggi un articolo intitolato “Perché affidare l’educazione civica alle iniziative delle forze armate è un problema democratico”.
Un titolo forte, che lascia intendere che la sola presenza di soldati, carabinieri o poliziotti nelle scuole rappresenti una minaccia ai valori civili e democratici.
Il pezzo denuncia quella che viene definita “militarizzazione culturale” e segnala la possibilità per i genitori di richiedere l’esonero dei figli da attività promosse in collaborazione con le Forze Armate o con le Forze di Polizia.
In realtà, la questione è molto più complessa e merita un’analisi meno ideologica e più legata alla realtà dei fatti.
Proprio un anno fa, su questo sito, avevamo già affrontato un tema simile, rispondendo ad alcune polemiche sollevate da Il Fatto Quotidiano contro la presenza dell’Esercito nelle scuole. E oggi, di fronte a questa nuova critica, riteniamo necessario tornare sull’argomento, ribadendo una posizione chiara: la presenza delle Forze Armate nelle scuole non rappresenta un problema democratico, bensì un’opportunità di crescita per i giovani cittadini.
Prima di tutto, occorre chiarire un punto fondamentale: le Forze Armate italiane non sono un corpo separato dalla società civile. Sono parte integrante dello Stato democratico, previste e regolate dalla Costituzione, poste al servizio esclusivo della Repubblica e dei cittadini.
L’articolo 52 della nostra Carta è esplicito:
“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.
Difesa non significa guerra, come qualcuno vorrebbe far credere. Significa protezione dei valori democratici, delle istituzioni, della sicurezza nazionale e – come dimostrano decenni di missioni internazionali – della pace e della stabilità in contesti di crisi.
Ridurre le Forze Armate a meri strumenti di violenza o a esecutori di ordini ciechi, come sembra emergere dall’articolo di Fanpage, significa ignorare il percorso compiuto dall’Esercito Italiano e dagli altri corpi militari negli ultimi trent’anni.
Chi scrive ha servito come Paracadutista volontario di truppa nella Brigata Folgore dal 1999 al 2002, in anni di transizione: la leva obbligatoria stava per essere superata, i militari professionisti prendevano progressivamente il posto dei coscritti e le missioni di peacekeeping all’estero segnavano il nuovo volto delle Forze Armate italiane.
Già allora, oltre vent’anni fa, i nostri comandanti erano chiari: nessuna discriminazione politica, sessuale o razziale era tollerata. Ogni militare veniva formato non solo alla disciplina, ma soprattutto al rispetto delle persone, delle regole e del diritto internazionale.
Oggi questo processo è giunto a compimento: l’Esercito e le altre Forze Armate sono organismi professionali, apolitici e regolati da un codice etico severo. Attribuire loro una presunta vocazione “militarista” da trasmettere ai giovani significa descrivere un mondo che non esiste più.
C’è anche un aspetto personale che merita di essere ricordato. Prima di arruolarmi, ero un giovane militante politico. Dentro l’Esercito, però, ho trovato un ambiente apolitico, dove ogni ideologia era bandita e contava soltanto il rispetto reciproco. Tre anni di vita militare hanno trasformato quella visione giovanile: quando ne sono uscito, nel 2002, mi sono ritrovato su posizioni molto più moderate.
È questa la prova concreta che la caserma non è un luogo di indottrinamento, ma uno spazio in cui si apprendono disciplina, rispetto, solidarietà e neutralità politica.
Fanpage sostiene che affidare alle Forze Armate parte dell’educazione civica significhi confondere addestramento e cittadinanza, gerarchia e comunità, obbedienza e libertà.
È un’accusa pesante, che si fonda però su un equivoco.
Educazione civica e cultura della difesa non sono la stessa cosa, ma sono complementari.
L’educazione civica, com’è giusto, spiega i principi della Costituzione, il funzionamento delle istituzioni, i diritti e i doveri dei cittadini.
La cultura della difesa aggiunge un tassello: mostra ai giovani quali strumenti lo Stato ha per difendere quei diritti e quei valori.
Parlare di sicurezza, legalità, missioni di pace, protezione civile e cooperazione internazionale non significa addestrare alla guerra. Significa responsabilizzare i futuri cittadini, offrendo loro consapevolezza di cosa significhi proteggere la democrazia in un mondo complesso.
Un altro punto sollevato da Fanpage è il rischio che la presenza di militari e poliziotti nelle aule si trasformi in propaganda, finalizzata al reclutamento o alla costruzione di un consenso “militarista”.
Qui serve chiarezza:
Se vogliamo parlare di propaganda, allora dovremmo guardare con lo stesso occhio critico anche a tutte le altre realtà che entrano nelle scuole: associazioni, sindacati, imprese, ONG, enti locali. Perché mai le Forze Armate dovrebbero essere escluse a priori?
L’articolo di Fanpage cita Hannah Arendt e la sua riflessione sulla “banalità del male” per sostenere che l’obbedienza cieca non possa essere un modello democratico. Vero.
Ma il punto é proprio questo: l’Esercito di oggi chieda obbedienza cieca.
Il militare professionista è formato a operare nel rispetto delle leggi, delle convenzioni internazionali, delle regole di ingaggio stabilite in maniera democratica dal Parlamento e dal Governo.
Chi ha vissuto esperienze nelle missioni di peacekeeping sa bene quanto sia centrale la capacità di giudizio, la responsabilità personale e la sensibilità culturale.
Non è un caso se i soldati italiani sono apprezzati nel mondo proprio per il loro approccio umano e rispettoso, tanto che in Kosovo, Libano o Afghanistan erano e sono chiamati “soldati di pace”.
La vera difesa della democrazia non è escludere i militari dalle scuole, ma far sì che i giovani li conoscano, capiscano come operano e possano confrontarsi con loro senza pregiudizi.
Chi critica la presenza delle Forze Armate nelle scuole sembra basarsi più su timori ideologici che su dati concreti.
I fatti dicono altro:
È questa la realtà, non una fantomatica “militarizzazione culturale”.
La democrazia non si difende escludendo voci, ma aprendosi al confronto.
Se vogliamo formare cittadini liberi e consapevoli, dobbiamo offrire loro la possibilità di ascoltare tutti, anche chi porta una divisa.
Le Forze Armate italiane non chiedono obbedienza cieca, né vogliono imporre gerarchie nelle aule: portano esperienze, testimonianze e conoscenze. Privare i giovani di questo contributo per timore di un’ipotetica “retorica militarista” significa sottrarre loro una parte essenziale dell’educazione civica.
L’Italia ha bisogno di cittadini che conoscano non solo la Costituzione, ma anche gli strumenti concreti che la difendono. Le scuole devono restare spazi aperti al dialogo, non luoghi chiusi dal pregiudizio.
Per questo riteniamo lodevole l’iniziativa portata avanti dal Ministro della Difesa Guido Crosetto e dal Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che rafforza il dialogo tra scuola e Forze Armate trasformandolo in un ponte di conoscenza e di educazione democratica, capace di formare cittadini più consapevoli e responsabili.
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