L’Italia si trova oggi al centro di una delle più delicate crisi politico-strategiche della sua storia recente. Lo scontro tra il vicepremier Matteo Salvini e il Ministro della Difesa Guido Crosetto non è una semplice disputa tra alleati di governo: è il riflesso di una frattura profonda sul futuro della sicurezza nazionale. Da un lato Salvini, che con il suo modello di “Fortezza Italia” privilegia il controllo dei confini e la protezione delle infrastrutture interne. Dall’altro Crosetto, sostenuto dai vertici militari, che invoca un “realismo strategico” basato sul riarmo, sul rafforzamento delle Forze Armate e sul pieno rispetto degli impegni NATO.
L’attrito non è solo politico: mette in discussione la capacità stessa dell’Italia di difendersi in un contesto internazionale instabile, segnato dal conflitto in Ucraina, dalle tensioni nel Mediterraneo e dalle minacce ibride che superano i confini tradizionali della guerra.
Per il leader della Lega, la priorità della sicurezza nazionale non sta nell’affrontare conflitti convenzionali con potenze straniere, ma nel contenere minacce ibride come immigrazione irregolare, terrorismo e criminalità organizzata. Da qui la sua proposta di un servizio militare universale di sei mesi, più vicino alla protezione civile che alla preparazione al combattimento.
La sua posizione si colloca in un orizzonte sovranista e populista: ridimensionare le spese per gli armamenti, destinando risorse a cittadini e infrastrutture interne. Non a caso Salvini ha proposto di includere il Ponte sullo Stretto di Messina come “spesa strategica” in ottica NATO, un modo per trasformare un’opera civile in un simbolo di sicurezza nazionale.
Guido Crosetto, invece, ha più volte denunciato l’impreparazione del paese a un eventuale attacco. Secondo il Ministro, l’Italia ha bisogno di rafforzare l’apparato militare, garantire scorte adeguate e mantenere salde le alleanze internazionali.
La sua linea è chiara: senza NATO e senza investimenti strutturali, il paese rischia di restare indifeso. Crosetto sostiene apertamente un aumento consistente delle spese militari. Il ministro rifiuta l’idea di un ritorno alla leva, giudicata inefficace in un contesto in cui contano professionalità e competenze tecnologiche. Al contrario, propone un modello di Forze Armate moderne, integrate nei sistemi multinazionali, in grado di operare in scenari complessi e multidominio.
Al di là del dibattito politico, i dati parlano chiaro: l’Italia è oggi impreparata ad affrontare un conflitto convenzionale.
Questa fotografia rivela una vulnerabilità che mette a rischio non solo l’Italia, ma anche la coesione dell’intera Alleanza Atlantica.
L’Italia si è impegnata nel 2014 a portare la spesa militare al 2% del PIL. Le pressioni degli alleati aumentano, con Washington che spinge addirittura verso il 5% del PIL. Per l’Italia significherebbe destinare oltre 100 miliardi l’anno alla difesa, una cifra che appare irrealistica.
La tentazione del governo è quella della “contabilità creativa,” includendo grandi opere civili come spesa strategica. Ma questo stratagemma rischia di minare la credibilità del paese agli occhi degli alleati, già messa in discussione dalla lentezza con cui vengono prese le decisioni operative.
Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone prima e poi il generale Luciano Portolano, hanno delineato piani ambiziosi per trasformare le Forze Armate italiane: 160.000 militari professionisti, 35.000 riservisti, espansione della flotta F-35, nuovi droni e sistemi missilistici.
Ma senza finanziamenti certi e stabili, questi piani restano sulla carta. La paralisi politica rischia di annullare la programmazione pluriennale, condannando l’Italia a una posizione di debolezza strutturale.
Lo scontro tra Salvini e Crosetto mette in luce una crisi non solo politica, ma materiale. Le Forze Armate italiane soffrono di carenze evidenti, mentre la classe dirigente appare incapace di trovare una linea comune.
Tre le priorità da affrontare:
Senza una svolta, l’Italia rischia di rimanere indifesa in un mondo sempre più instabile, perdendo credibilità agli occhi degli alleati e mettendo a repentaglio la propria sicurezza.
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